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Google pagherà 118 milioni a dipendenti donne per discriminazioni salariali

La società tenta di evitare la shitstorm a seguito di un gender pay gap sistematico

Google pagherà 118 milioni a dipendenti donne per discriminazioni salariali La società tenta di evitare la shitstorm a seguito di un gender pay gap sistematico

Nel settembre 2017, tre dipendenti di Google avevano depositato alla Corte Superiore della California a San Francisco una causa contro il colosso tecnologico, accusato di sottopagare le lavoratrici, violando così l’Equal Pay Act della California, una legge federale firmata nel lontano 1963 dal presidente Kennedy che proibisce a un datore di lavoro di pagare ai propri dipendenti salari inferiori a quelli dei dipendenti di sesso opposto, di un’altra razza o di un’altra etnia per un lavoro sostanzialmente simile. Alle tre querelanti originali se ne è aggiunta prima una quarta e infine molte altre (circa 15.500) che hanno trasformato l’azione legale in una vera e propria class-action. Tutte loro, che in totale ricoprivano 236 mansioni professionali del mondo tech, dagli ingegneri software ai manager, lamentavano da parte dell’azienda americana di retribuire in modo insufficiente le dipendenti di sesso femminile arrivando ad una disparità salariale di circa 17 mila dollari rispetto ai colleghi uomini. Il comportamento fortemente discriminatorio di Google, che da sempre di dichiara portavoce di un’etica egualitaria, sarebbe andato oltre tenendo, nonostante le maggiori qualificazioni e l’esperienza accumulata, le proprie dipendenti bloccate in percorsi di carriera inferiori rispetto agli uomini, negando loro così l’accesso a eventuali promozioni, bonus e a un salario maggiore.

Un esempio è la storia di Kelly Ellis che ha lavorato per quattro anni come ingegnere di software presso l’ufficio di Mountain View di Google. Prima di abbandonare la compagnia nel 2014 "a causa della cultura sessista dell'azienda" aveva raggiunto la posizione di senior manager, ma continuava a venire pagata come un ingegnere di livello base. Al contrario di un collega di sesso maschile che, con stessa laurea e minore esperienza, "veniva pagato di più". Tra i querelanti originali, Ellis ha resistito alla pressione e alle diverse minacce subite via Twitter per via della causa ed ora può festeggiare la resa dell’azienda: Alphabet, la società a cui fa capo Google, ha infatti dichiarato di aver raggiunto un accordo da 118 milioni di dollari per evitare i costi e l’inevitabile pubblicità negativa del procedimento legale. Chris Pappas, portavoce dell’azienda ha detto tramite un comunicato stampa:

"Sebbene crediamo fermamente nell’equità delle nostre politiche e pratiche dopo quasi cinque anni di contenzioso, entrambe le parti hanno convenuto che la risoluzione della questione, senza alcuna ammissione o conclusione, era nel migliore interesse di tutti".

Un sentimento che sembra essere condiviso anche da Holly Pease, una delle querelanti:

"Come donna che ha trascorso l’intera carriera nel settore tecnologico sono ottimista sul fatto che le azioni che Google ha accettato di intraprendere nell'ambito di questo accordo garantiranno una maggiore equità per le donne". 

Oltre alla parte economica, l’accordo prevede anche che Google consenta a esperti di terze parti di valutare la condotta del reparto delle risorse umane, mentre economisti del lavoro indipendenti suggeriranno alla società come raggiungere l’equità retributiva ed essere più equa nello stabilire la posizione e la retribuzione dei nuovi assunti. 

Nel 2017 Kelly M. Dermody dello studio legale Lieff Cabraser Heimann & Bernstein, una degli avvocati delle querelanti disse:

"Sebbene Google sia stato un innovatore tecnologico leader del settore, il trattamento riservato alle dipendenti di sesso femminile non è entrato nel 21° secolo. Questo caso cerca di garantire l'equità per le donne in Google".

L’accordo raggiunto le dà ragione. Nonostante questo risultato che si somma al sì dell'UE al 40% delle donne ai vertici aziendali entro il 2026, la strada per vincere la lotta contro la diseguaglianza retributiva tra uomini e donne è ancora lunga se si pensa che secondo le stime di Eurostat in Italia la componente discriminatoria nel gender pay gap è pari al 12%.