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Oggi è la Giornata internazionale contro l’omobitransfobia

Storia del 17 maggio e dati sui diritti civili in Italia e nel mondo

Oggi è la Giornata internazionale contro l’omobitransfobia Storia del 17 maggio e dati sui diritti civili in Italia e nel mondo

Oggi, 17 maggio, è la Giornata internazionale contro l'omofobia, la bifobia e la transfobia, anche conosciuta come IDAHOBIT (International Day Against Homophobia, Biphobia, Transphobia). Lo scopo è quello di invitare sempre più persone ad agire per far sì che a chiunque siano riconosciuti i diritti di vivere una vita libera dalle violenze, dalle persecuzioni, dalle discriminazioni e dallo stigma, indipendentemente dal proprio orientamento sessuale e dalla propria identità di genere, nonché sessuale

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Anche se da un punto di vista letterale si parla solo di persone omosessuali, bisessuali e trans (la bisessualità è stata aggiunta al nome della ricorrenza nel 2015), in realtà, la Giornata riguarda tutte le persone che fanno parte della comunità LGBTQIAPK+ e, infatti, si tratta di una celebrazione globale delle diversità che riguardano sesso, sessualità e genere. Ma la ricorrenza non serve ad analizzare e spiegare queste diversità, bensì vuole incentrare il dibattito sul concetto di fobia; e quindi di tutte quelle paure e rifiuti irrazionali che provano alcune persone nei confronti di queste alterità.

Perché l’IDAHOBIT si ricorda il 17 maggio?

Era il 17 maggio del 1990 quando l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) rimosse l’omosessualità dalla lista dei disturbi mentali, definendola «una variante naturale del comportamento umano». 

Infatti negli anni Cinquanta, precisamente nel 1952, l’APA (American Psychiatric Association) aveva pubblicato la prima edizione del DSM, cioè il Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali, il compendio di riferimento per tutte le definizioni e le descrizioni dei principali disturbi mentali. La teoria della sessualità di Freud era ancora il punto di partenza per definire ciò che era o non era una “deviazione sessuale”, e nel Manuale si potevano trovare l’omosessualità, il feticismo e il travestitismo accanto alla pedofilia. 

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Nella prima versione del DSM l’omosessualità era una condizione psicopatologica, nella revisione del 1968 era considerata una deviazione sessuale, finché nel 1980 viene eliminata dai disturbi psicosessuali, pur rimanendo il concetto di omosessualità egodistonica, ovvero quando una persona omosessuale non riesce ad accettare il proprio orientamento e vive una condizione psicofisica ed emotiva drammatica (per approfondire: Parafilie e devianza di Fabrizio Quattrini).

Queste teorie saranno superate sulla fine degli anni Ottanta principalmente grazie a due fattori:

  • l’avanzamento della ricerca scientifica, che in quegli anni ha evidenziato come la maggior parte degli studi fossero inattendibili, in quanto basati su campioni di ricerca eccessivamente ridotti (in alcuni casi nell’ordine della decina di persone);

  • le pressioni sociali e culturali, maturate da Stonewall, dalle rivolte studentesche e dall’ampio dibattito sulla sessualità e sull’HIV. Alcuni gruppi attivisti statunitensi, infatti, fecero incursione ai meeting annuali dell’APA nel 1970 e 1971.

Nel momento in cui l’Associazione di Psichiatria statunitense rivede i suoi studi e l’OMS rimuove l’omosessualità dalla classificazione ICD, termina anche il mito per cui essere gay (lesbica, bisessuale e così via) sia un disturbo o qualcosa che richieda una cura. O almeno, termina sulla carta. Sono passati più di trent’anni, ma esistono ancora governi, famiglie e persone che non accettano la comunità LGBTQ+ e pensano che si debba ricorrere alle “terapie correttive”, come quelle raccontate nel film Boy Erased (Vite cancellate, Netflix, 2018).  

Come diceva Helen Clark, ex Primo Ministro della Nuova Zelanda, e Amministratore del Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo (dal 2009 al 2017)

«c'è un crescente riconoscimento in tutto il mondo che l'orientamento sessuale dello stesso sesso e la diversa identità ed espressione di genere non siano disturbi mentali o fisici. Eppure, diversi milioni di persone LGBTQ+ in tutto il mondo continuano a subire stigma, discriminazione, violenze e oppressione. Questo è motivo di azione. Possiamo e dobbiamo fare di più». 

Dove l’omosessualità è ancora illegale

Dopo il riconoscimento delle Nazioni Unite nel 2004, e con l’approvazione del Parlamento europeo, ogni anno il 17 maggio è diventato il momento in cui promuovere e coordinare eventi di sensibilizzazione e prevenzione in tutto il mondo per contrastare l’odio e le paure nei confronti della comunità LGBTQ+. L’omosessualità è illegale ed è criminalizzata ancora in 72 paesi del mondo, e quasi la metà di questi si trova in Africa. Non è un dato casuale, dato che la maggior parte di queste normative hanno origine in epoca coloniale, e si rifanno a usanze e leggi di stampo britannico e francese, e di conseguenza basate su tradizioni cristiane, che hanno storicamente visto l’omosessualità come peccato.

La lotta contro le discriminazioni passa soprattutto attraverso l’educazione e l’informazione; così in occasione della Giornata del 17 maggio Maria Assunta Palermo, Direttore Generale del MIUR, ha invitato docenti e scuole di ogni grado a «creare occasioni di approfondimento con i propri studenti sui temi legati alle discriminazioni, al rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali». Ma se l’offerta formativa fatica già con l’educazione alla sessualità, sarebbe sempre più opportuno avere, almeno, dei riferimenti legislativi. Si può certamente sensibilizzare il discorso pubblico sull’hate speech e su tutti gli atti di bullismo, ma diventa complesso legittimare queste azioni nel momento in cui diversi senatori festeggiano, esultano e battono le mani – come si è visto fare sei mesi fa – per aver affossato il Ddl Zan, il disegno di legge contro l’omobitransfobia, che vuole adottare misure di prevenzione e contrasto della discriminazione e della violenza per motivi fondati su: sesso, genere, orientamento sessuale, identità di genere e disabilità

La Giornata internazionale contro l'omofobia, la bifobia e la transfobia 2023 vede un'Italia alle ultime posizioni in Europa per la tutela dei diritti di LGBTQIA+. Secondo la Rainbow Map tracciata da Ilga, si trova precisamente al 34° posto a pari merito con Georgia e sotto Paesi come Grecia, Svizzera, Croazia, Bosnia, Albania, Slovenia, Macedonia. Dopo il fallimento del Ddl Zan il nostro paese rimane tra i pochi privi di una legge contro i crimini d’odio e le tutele giuridiche per le persone. L’ultimo esempio negativo ha colpito direttamente le famiglie omogenitoriali italiane, quando il governo ha bloccato le iscrizioni all'anagrafe dei figli delle coppie dello stesso sesso.