
Il silenzio che parla: Diana Anselmo tra Arte e Attivismo
Un artista tra corpo, identità e linguaggio
07 Marzo 2025
Diana Anselmo è un artista visivo, performer Sordo e attivista la cui pratica si sviluppa al confine tra linguaggio, corpo e sguardo. Bilingue LIS (Lingua dei Segni Italiana) e italiano, esordisce nel 2021 con la sua prima performance, Autoritratto in 3 atti, che continua a essere presentata in numerosi festival italiani e internazionali, tra cui in Serbia, Svizzera, Portogallo, Germania e Cipro. Il suo debutto all’estero avviene a Berlino, dove partecipa alla performance Le Sacre du Printemps (2022) di Xavier Le Roy. Recentemente, ha esposto la sua prima mostra Je Vous Aime alla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo (2024) ed è ora rappresentato dalla Galleria Eugenia Delfini. Anselmo è anche tra i fondatori di Al.Di.Qua. Artists, la prima associazione europea di categoria di e per artistə con disabilità, con cui ha partecipato a numerosi festival europei in Svizzera, Svezia, Olanda e Lettonia. Inoltre, è membro più giovane del Cultural Advisory Board del British Council.
Nel novembre 2023, durante l’Open Day di Scuola Piccola Zattere, programma curato da Irene Calderoni, uno spazio non profit per la ricerca e la formazione continua nel campo espanso delle arti contemporanee, ha presentato Autoritratto in tre atti (2021), una lecture-performance che esplora il tema dello sguardo da tre punti di vista distinti: quello personale – interrogandosi su cosa significhi abitare un corpo con disabilità; quello subìto – che affronta l’intrusività degli sguardi altrui; e infine, quello riappropriato – che rovescia la dinamica, dando al soggetto la possibilità di determinare la propria definizione identitaria. Attualmente, Diana Anselmo sta svolgendo una fellowship presso Scuola Piccole Zattere, proseguendo la sua ricerca sull'intersezione tra linguaggio, corpo e performance. L'artista utilizza il gesto come mezzo espressivo capace di superare i limiti della comunicazione verbale, trasformando il silenzio in uno spazio denso di significato.
La poetica del silenzio e il dialogo con John Cage
Elemento chiave nel lavoro dell'artista è il concetto di silenzio, non inteso come vuoto, ma come spazio di possibilità espressive. Un riferimento culturale essenziale per comprendere questa poetica è Theater Piece No. 1 di John Cage, che nel 1952 ha ridefinito i confini dell’arte combinando musica, danza, poesia e proiezioni visive in un evento performativo simultaneo. Come Cage ha esplorato il silenzio come contenitore di suoni potenziali, Diana Anselmo trasforma il silenzio in uno spazio dove il corpo comunica oltre la parola. In Theater Piece No. 1, Cage ha rivoluzionato la concezione di performance, abbattendo le barriere tra le arti tradizionali e introducendo il concetto di silenzio come elemento primario di riflessione e interazione. La sua storica composizione, che richiedeva l’assenza di un copione prestabilito, ha avuto un impatto profondo sulla scena artistica contemporanea, proponendo un’esperienza che non si limitava a un semplice ascolto o a un’osservazione passiva, ma invitava il pubblico a confrontarsi con il silenzio come una musica in divenire, carica di potenzialità. La performance di Cage non è mai stata una mera pausa o assenza, ma uno spazio vivo dove ogni elemento, dal respiro dell’esecutore alla reazione del pubblico, diventava parte dell’evento stesso. In questo modo, il silenzio di Cage si carica di significato e diventa terreno fertile per una comprensione più profonda del mondo sonoro e dell’interazione tra individuo e ambiente.
Monumentum DA: la danza come atto politico
La collaborazione tra Cristina Rizzo e Diana Anselmo in Monumentum DA si inserisce in questa ricerca sulla libertà espressiva del corpo. Per Rizzo, la danza appartiene a tutti, indipendentemente dalle capacità fisiche o dal contesto sociale. La connessione con l’omeostasi – principio vitale che regola gli impulsi dell’organismo – sottolinea come la danza non sia un’arte riservata a pochi, ma una manifestazione universale dell’essere vivi. L’incontro con l'artista amplia questa prospettiva, dimostrando come il corpo possa comunicare al di là delle parole. La presenza della LIS, una lingua visiva e corporea, non è solo un elemento estetico, ma un atto di inclusione che rompe le barriere linguistiche. Tuttavia, la performance non si limita a tradurre segni in movimenti: esplora il punto in cui il gesto si libera dal significato convenzionale per diventare espressione pura. In questa performance, la LIS si manifesta attraverso un’interpretazione gestuale che non si limita a rappresentare parole ma trasforma ogni segno in un atto corporeo che prende vita. Un esempio visivo di questa pratica è la fusione tra i movimenti fluidi del corpo e l’uso della lingua dei segni per rappresentare concetti astratti, come la libertà e la lotta. Non si tratta di una semplice traduzione, ma di una trasmutazione dell’intenzione in movimento, un atto politico che sottolinea la potenza della comunicazione non verbale. La danza diventa, così, strumento di liberazione, capace di abbattere le barriere imposte dal linguaggio verbale e di affermare l’inclusione come valore fondamentale.
Le caratteristiche comuni tra Theater Piece No. 1 e Monumentum DA risiedono proprio nella ricerca della libertà espressiva e nell’uso del corpo come strumento comunicativo. Cage esplora il silenzio come spazio sonoro potenziale, mentre in Monumentum DA il corpo nel silenzio diventa portatore di significati non verbali. La danza, qui, si fa strumento politico non solo perché include corpi e linguaggi diversi, ma perché sfida le gerarchie della comunicazione, dimostrando che l’espressione umana non dipende dalle parole. In un mondo dominato dalla velocità dell’informazione e dal linguaggio verbale, questa performance rivendica il diritto di comunicare attraverso la presenza fisica. Il corpo, libero dai vincoli della grammatica, diventa un manifesto vivente di autodeterminazione, capace di sovvertire le norme culturali che definiscono chi può parlare e chi deve restare in silenzio.
La mostra deafnotdead a Roma
L’impegno di Diana Anselmo nel rendere visibili le dinamiche di esclusione si riflette anche nella mostra deafnotdead alla Galleria Eugenia Delfini di Roma. Realizzata in collaborazione con l’Institut National de Jeunes Sourds (INJS) di Parigi, la mostra espone documenti fotografici d’archivio su cui l’artista interviene per spostare l’attenzione da chi veniva considerato paziente a coloro che esercitavano pratiche costrittive. Applicando chewing-gum sui volti dei soggetti sordi ritratti con gli specialisti, Diana Anselmo evidenzia la marginalizzazione subita: il chewing-gum, atto quotidiano e banale, viene applicato sui volti degli individui per deumanizzare chi, nella storia, è stato forzato al silenzio e alla marginalizzazione, e al tempo stesso tutela l’identità dei pazienti, restituendo loro un volto che non è più definito dalla pratica oppressiva ma da una nuova visibilità. L’opera si collega alla storia di Hector-Victor Marichelle, fonetista attivo tra Ottocento e Novecento, fondatore del Laboratorio della Parola e della Clinica dell’Udito, istituzioni nate per riaffermare la supremazia del parlato.
Con questo intervento artistico, l'artista non solo critica le pratiche di esclusione del passato, ma invita a ripensare il presente, proponendo un linguaggio visivo che restituisce dignità ai corpi emarginati. Sia attraverso la performance sia nell’arte visiva, il suo lavoro dimostra che il silenzio può diventare uno spazio di resistenza e autodeterminazione. Se Theater Piece No. 1 di Cage ha fatto del silenzio un terreno fertile per l’espressione artistica, il lavoro di Anselmo lo rende terreno di rivendicazione, un grido che non ha bisogno di parole per farsi sentire.