
Perché su internet ci piacciono le cose brutte? Dalle foto in 0.5 a Snapchat, passando per i meme "rage" e "me gusta"
Nell'estate del 2015, dopo anni di letargo (o quasi), improvvisamente divenne impossibile, in Italia, comprare un paio di Birkenstock Arizona. Erano sold out ovunque. Lo so bene, perché mi trovavo a Siena, avevo 21 anni e ne volevo fortissimo un paio perché tutte le content creator (ai tempi si chiamavano influencer) le avevano, e perché a me, le cose tradizionalmente considerate brutte sono sempre piaciute. Proprio così: per anni ho cercato di spiegare la mia fascinazione per le cose brutte-ma-con-carattere, il cosiddetto ugly chic. Non solo nella moda - che ne ha fatto un vero e proprio genere - ma anche nel design, nel cinema e nella letteratura, nel modo in cui posto su Instagram e in cui fotografo la città in cui vivo e anche quelle che vado a visitare. Non mi sono mai sentita compresa come su internet. E potrebbe non essere un caso.
"Internet is ugly" o perché su internet ci piacciono le cose esteticamente brutte
Un creator su TikTok, infatti, ha postulato un vero e proprio paradigma della bruttezza dei social network, e in generale di internet. Si chiama Adam Aleksic, è conosciuto come Etymology Nerd e ha scritto un libro che si intitola Algospeak - How social media is transforming the future of language. Secondo lui, in sintesi, internet sarà sempre un po' bruttino, perché questa è la sua estetica distintiva, è parte di ciò che significa essere online. Qualche esempio? Le foto in 0.5, in cui sembriamo tutti alieni macrocefali. Oppure ancora i content creator che invece di pinzare il microfono lavalier al bavero lo tengono ostinatamente in mano, anche se è pensato apposta per essere nascosto. L'origine di questa estetica va ricercata negli anni addietro, nei meme antichi, tipo quelli di "me gusta" e "trollface" e rage, negli screenshot di Snapchat. Anche adesso, l'idea è che i contenuti dall'aspetto amatoriale funzionino meglio, perché trasmettono più autenticità. Basti pensare alla supremazia di TikTok su Instagram.
Forse, si tratta anche di una reazione naturale. Siamo sempre stati bombardati da contenuti iper-curati provenienti da tv, cinema e pubblicità, ambiti che sono tradizionalmente portati avanti da figure professionalizzate. I contenuti brutti, per contrasto, sono associati a persone normali, a dilettanti come noi, e questo li fa sembrare più genuini. Di conseguenza, tutti vogliono salire sul carro del vincitore, abbandonando feed curati e contenuti da studio di produzione per cercare un'imperfezione calcolata al millimetro. Ma la verità dell'internet sta nel brutto genuino, quello comune, non in quello fabbricato. Semplicemente, ci piacciono le cose grezze e spontanee, almeno quando navighiamo i social network.
La memificazione del brutto e del disordine
L'equilibrio è, come sempre quando si parla della pluralità dei social network, fragile. Che differenza c'è tra la bruttezza vera e quella fabbricata? Tra il contenuto buttato lì per caso e quello pensato da un team di digital marketer e poi infiocchettato in un fintamente disordinato Instagram dump? In realtà, la bruttezza vera è l'ultimo vero baluardo di verità. Basti pensare al core-core, ai meme hope core e a quei contenuti completamente unhinged che si inseriscono tra un video patinato e l'altro, come ad esempio l'italian brainrot, che utilizza l'AI in modo inaspettato e nonsense, di fatto un po' brutto. Allo stesso modo, anche il nostro modo di scrivere e parlare si sta evolvendo allo stesso modo. Molti dei nuovi slang che stanno emergendo in questi mesi - chopped, crashing out - nascono dalla sovversione delle preferenze estetiche tradizionali e arrivano quasi sempre dal basso, anzi quando i brand cercano di monetizzarli risultano goffi.
Il brutto nei trend fashion del 2025
E se lo stesso valesse anche per la moda? Lo strapotere recentissimo delle tabi shoe di Martin Margiela, che nella vita vera rimangono lontane e incomprese mentre sui social sono del tutto sdoganate, è un esempio lampante dell'ugly chic, o dell'unsettling chic o dell'uncanny valley. Ancora, in questo filone potremmo inserire la nuova fascinazione per i profumi strani, che contengono note di sangue, sudore, gasolio e chi più ne ha più ne metta. Per non parlare dei Labubu. Insomma: se la vita vera è inevitabilmente sciatta, noi vogliamo portare con noi questo reminder, forse per turbare chi ci circonda, ma forse anche per ritrovare una dimensione di normalità ormai perduta.


















































