
Il Pride non è più monetizzabile per i brand?
Le aziende smettono di sostenere la comunità LGBTQIA+
15 Maggio 2025
"Camminare vuol dire questo è uno spazio pubblico [...] in cui le persone, indipendentemente dal loro genere o dalla loro religione, sono liber* di muoversi senza minacce di violenza": Judith Butler, filosofa e teorica queer, definiva così l'esperienza di una marcia nelle strade di Ankara, in Turchia, nel 2011: un paese che reprime sistematicamente qualsiasi attività di raduno della comunità, e in cui l’attuale Presidente Erdoğan definisce le persone LGBTQ una minaccia alla società. La riflessione di Butler ci ricorda come il Pride, in quanto manifestazione, nasce storicamente con l’intento di esporsi nello spazio pubblico, e segna il formarsi di un’alleanza in cui si celebra l’orgoglio di appartenere ad una comunità. Un’aggregazione spontanea in cui il corpo, come scrive Butler, "è anche in prima linea, a esibire il suo valore e la sua libertà nell’atto stesso di dimostrare, e a porre in essere, attraverso la forma incarnata del raduno, una rivendicazione politica" (L’alleanza dei corpi, Judith Butler, Nottetempo, 2017). Tuttavia, negli ultimi anni, anche in Italia, abbiamo potuto osservare come questa manifestazione sia stata supportata non solo da movimenti che nascono dal basso, autoalimentati, bensì anche da ricchi gruppi aziendali transnazionali: sponsor del Pride - in città come Roma e Milano - erano, fino allo scorso anno, compagnie come Procter&Gamble, Coca Cola, Google, PayPal e Amazon. Quest’anno, complice la rielezione di Donald Trump, avvenuta nello scorso novembre, stiamo assistendo ad un netto stravolgimento: il Pride, a quanto pare, non è più monetizzabile. Diversi organizzatori e coordinatrici di Pride italiani - come quelli di Roma, Milano, Napoli e Torino - hanno evidenziato un raffreddamento nell’adesione delle aziende alla manifestazione che si terrà a giugno.
Il clima politico attuale e le decisioni delle grandi aziende
Solo un paio di mesi fa, poche ore dopo il suo insediamento alla Casa Bianca, Donald Trump ha firmato due ordini esecutivi mirati a smantellare i programmi DEI (Diversity, Equity, and Inclusion) del governo federale. Il personale degli uffici è stato messo in congedo retribuito, e le pagine web pubbliche rimosse. Conseguentemente, vista la trasformazione del panorama politico in atto, molte aziende hanno riformulato il loro impegno alla causa, soprattutto finanziario, verso la DEI. Meta è stata una delle prime aziende ad annunciare, già nel mese di gennaio, di aver deciso di interrompere i suoi principali programmi dedicati all’inclusione, l’equità e la diversità. Hanno seguito quest’ottica di rebranding altri colossi come SAP, Paramount, Amazon, Pepsi, Deloitte. D’altra parte, ho lavorato anch’io per una multinazionale statunitense che aveva un foltissimo gruppo di attività, gruppi interni nonché ruoli dirigenziali dedicati esclusivamente alla Diversity and Inclusion: mi chiedo che fine faranno ora, se continueranno ad esistere, se le persone perderanno posti di lavoro, e se si sentiranno meno protett* a lavoro.
Milano Pride risponde
In un post su Instagram di qualche giorno fa, il profilo ufficiale del Milano Pride ha tentato di spiegare perché la ritirata come sponsor delle aziende debba essere sviscerata da un punto di vista che vada al di là della pratica di cui possono essere accusate - legittimamente - ovvero rainbow washing. Secondo gli organizzatori, la presenza di sponsor permetteva sia di coprire le grosse spese per la realizzazione di un evento così esteso che la raccolta di fondi per progetti dedicati alla comunità (assistenza legale, sicurezza, sostegno e salute mentale). Affermando come il raffreddamento nella partecipazione delle aziende Pride sia veritiero, il Milano Pride teme che tali azioni siano il riflesso di un cambiamento politico e sociale più grande in atto. Ciononostante, come scrivono nel carosello, le aziende che continueranno a sostenere il Pride dimostreranno un impegno autentico alla comunità.
Prima ancora che una manifestazione diventasse una merce, e prima di chiederci cosa possa significare l’autenticità per un’azienda, sarebbe auspicabile ricordare e celebrare il Pride per ciò che è: la rivendicazione di uno spazio, un'alleanza dei corpi - come afferma il filosofo nonché traduttore di L’alleanza dei corpi di Butler, Federico Zappino, in un'intervista: "Cosa possono fare questi corpi precari insieme? Non costituiscono essi stessi, forse, un popolo?"