Marzia Bellotti: "Non si può piacere a tutti, quindi perché vendersi?" Intervista alla founder di Marbell

Marzia Bellotti: Non si può piacere a tutti, quindi perché vendersi? Intervista alla founder di Marbell

Marzia Bellotti, di brand, ne sa qualcosa. Ex Creative Director e Co-founder del brand Khrisjoy, si è lanciata adesso in una nuova avventura. Si chiama Marbell, e rappresenta un'evoluzione del suo percorso creativo e personale, un vero e proprio viaggio che celebra libertà, individualità ed espressione autentica. A partire dal nome, che fonde il nome e cognome di Marzia, diventando così, da tutti i punti di vista, una sorta di estensione della visione artistica della founder, che con questo progetto si libera dalle categorie tradizionali dell'abbigliamento per abbracciare un'estetica concettuale, che non si limita all'outerwear e al capospalla, ma esplora nuove combinazioni e silhouette.

Intervista a Marzia Bellotti, founder di Marbell

Marbell nasce come estensione diretta della tua identità. Qual è stata la scintilla che ha dato inizio a questo nuovo capitolo creativo?

Più che una scintilla è stato un lungo percorso fatto di compromessi e rinunce, un percorso che mi ha fatta crescere, maturare e che mi ha portata a una nuova consapevolezza: sono Marzia, frutto del mio passato pieno anche di sbagli, ma finalmente con la possibilità di fare quello voglio. Anche se "l’erba voglio non cresce neanche nel giardino del re", assumendomi tutte le responsabilità del caso. Libera di sbagliare!

Nel comunicato parli di una moda "senza compromessi commerciali". Cosa significa per te oggi essere davvero libera, lavorativamente parlando?

Credo che la più grande libertà sia quella di poter realizzare le proprie idee, anche controtendenza, ma essendo coerenti e fedeli a se stessi. Non si può piacere a tutti, quindi perché vendersi

Quale idea di femminilità vuoi trasmettere con Marbell?

Per me la femminilità è rappresentata da una forte personalità e da un grande carisma, che si esprime anche attraverso gli abiti e che ti dà la possibilità di esprimere le mille emozioni che convivono dentro ognuno di noi (anche una fragilità a volte distruttiva): sexy, dandy, grunge, romantica, punk e molte altre. Siamo sempre diverse, ma sempre uguali.

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Hai scelto di dare ai capi i nomi di donne iconiche: cosa rappresentano per te queste figure e che legame hanno con la collezione?

Tutte le donne che ho scelto rappresentano appieno il mio concetto di femminilità e ognuna di loro mi ha dato uno spunto. Il modello Kristen (Kristen Stewart): un bomberino dal volume ridotto che lei ha sempre indossato quando circolava con skateboard in mano e All Star; Amy (Winehouse), punto vita sui fianchi, molto anni 80’, come le sue t-shirt con elastico sul fondo; Kate (Moss), la sua foto al Coachella (di molti anni fa) con stacchino e stivaloni di plastica; Iryna (Shayk) layering trench e giubbino sopra; Erin (Wasson) pantaloni forever!

Tutti i capi sono Made in Italy: quanto conta per te il legame con il territorio e con la tradizione manifatturiera italiana?

Ho sempre cercato di portare avanti la tradizione del Made in Italy con tutte le difficoltà che comporta (soprattutto in termini di costi), ma per me è importante andare nelle aziende, vedere le loro realtà, ascoltare la loro storia e toccare con mano i loro prodotti. 

Essere un brand indipendente comporta sfide ma anche una grande forza espressiva. Cosa significa per te, oggi, portare avanti un progetto come Marbell da founder e creativa? Quali sono le sfide specifiche?

Essere founder e creativa ha i suoi vantaggi e svantaggi (come per tutto, non esiste il lavoro perfetto, per fortuna). La parte creativa è quella più facile per me, mi viene spontaneo avere idee, fare ricerca, andare dai fornitori, trovare i tessuti, sperimentare... poi subentra, però, tutto il discorso amministrativo: budget, costi, pagamenti, distribuzione. E purtroppo questi due ruoli non possono vivere uno senza l’altro. La mia sfida è poter offrire un prodotto creativo, di altissima qualità e di vendita, ma che garantisca un futuro all’azienda.

Hai parlato di community: che tipo di dialogo vuoi creare con chi indossa Marbell e che ruolo ha il pubblico nella costruzione del brand?

Chi si assomiglia, si piglia! Una community che abbia gli stessi gusti, argomenti, interessi... una forte empatia. Sto cercando insieme a Pilot Room (il mio ufficio stampa) di creare degli incontri con stampa e talent in cui ci si possa confrontare anche scontrare, per avere consigli e punti di vista diversi dal mio. Una vera famiglia. Anche l’utente finale che andrà in negozio è molto importante, per questo ho in previsione di fare pop-up in Italia e all’estero con me presente, per capire meglio chi si identifica in Marbell.

Se dovessi descrivere Marbell in tre parole, quali sceglieresti e perché?

Personalità (sei una donna risolta), consapevolezza (è una conseguenza della prima) e fragilità (perché solo attraverso i periodi bui sai realmente chi sei).

Come immagini l’evoluzione futura di Marbell nei prossimi anni?

A livello di categorie il mio focus sarà sempre l’outerwear, ma aggiungerò sempre piccoli touch di altre categorie (magari partnership con brand specializzati in quella categoria per dare più credibilità) per rendere meglio l’idea del mood. Da un punto di vista commerciale sicuramente consolidare i 40 clienti attivi che mi hanno dato fiducia sin dall’inizio, acquisirne nuovi (MyTheresa è un obiettivo), fidelizzare sempre di più il cliente, ma senza fretta... un passo alla volta. D’altra parte quello che conta è il percorso e non l’arrivo.