Milano chiede una legge nazionale per l’educazione affettiva e sessuale nelle scuole Una proposta per colmare un vuoto legislativo e garantire pari diritti educativi a tutti gli studenti

C’è un’educazione che in Italia non arriva mai in classe, e non si tratta di una svista. È un’assenza strutturale, politica e culturale. Si chiama educazione sessuale e affettiva, e oggi è ancora un’eccezione sporadica e localizzata, quando non osteggiata apertamente. Milano ha deciso che non si può più aspettare. Con l’approvazione di un ordine del giorno a prima firma della consigliera del Partito Democratico Diana De Marchi, presidente della Commissione Pari Opportunità e Diritti Civili, il Consiglio Comunale di Milano ha chiesto ufficialmente al Governo e al Parlamento una legge nazionale per rendere obbligatoria l’educazione all’affettività, al rispetto e alla sessualità in tutte le scuole italiane. Un passo che non è solo formale: è una presa di posizione politica e civile, una denuncia di un vuoto normativo e culturale che ci rende fanalino di coda in Europa.

Una questione di democrazia educativa: l'educazione affettiva nelle scuole in Italia

L’Italia è una delle ultime sei nazioni dell’Unione Europea (insieme a Bulgaria, Cipro, Lituania, Polonia e Romania) a non avere un programma ministeriale obbligatorio di educazione affettiva e sessuale nelle scuole. È un dato che non sorprende, ma che pesa: ogni anno si ripetono statistiche preoccupanti su gravidanze precoci, infezioni sessualmente trasmissibili, stereotipi di genere che non accennano a scomparire, uso scorretto o nullo del preservativo tra i giovani (solo 6 adolescenti su 10 lo usano), mentre si continua a fingere che l’educazione possa escludere la sfera intima, relazionale e corporea. De Marchi è netta: “Non può esserci vera educazione senza educazione all’affettività. Educare al rispetto reciproco, alla consapevolezza del proprio corpo e dei propri sentimenti è fondamentale per prevenire violenza, discriminazione e disagio. È un dovere civico, sociale ed educativo”. Parole che non si limitano alla retorica, ma si traducono in un impegno amministrativo concreto: l’amministrazione comunale è chiamata a promuovere queste iniziative anche in assenza di una legge nazionale, collaborando con scuole, centri antiviolenza, operatori sanitari e operatrici sanitarie.

Il grande tabù dell’educazione sessuale nelle scuole italiane

L’educazione sessuale in Italia è il grande tabù. Un tema “scomodo”, rimandato, ostacolato. E quando viene proposto, incontra immediatamente la barriera del consenso genitoriale, come previsto nel disegno di legge approvato ad aprile 2025 dal Consiglio dei Ministri. Un testo voluto dalla destra di governo che inserisce un meccanismo di opt-in: corsi solo con il consenso informato e preventivo delle famiglie, con obbligo di attività alternative per chi non partecipa. Un’architettura normativa pensata per depotenziare sul nascere ogni tentativo di educazione affettiva strutturata. Perché questa paura? Perché così tanto sospetto verso un’educazione che, come raccomandano da anni l’Organizzazione Mondiale della Sanità e l’UNESCO, serve a prevenire gravidanze indesiderate, abusi, bullismo, stereotipi di genere e disuguaglianze? Secondo un’indagine del Ministero della Salute del 2019, oltre l’80% degli adolescenti italiani chiede che sia la scuola a occuparsi di educazione sessuale e affettiva. Il 70% degli italiani, dice un recente sondaggio Coop-Nomisma, vorrebbe che diventasse materia obbligatoria. Eppure, siamo fermi.

Milano rompe l’attesa

Milano decide di fare da sé. L’ordine del giorno votato il 7 luglio 2025 è un atto simbolico e politico: Palazzo Marino si fa portavoce della richiesta di un’intera generazione. Chiede una legge nazionale, ma non aspetta. E nel farlo, disegna un modello di scuola che non si limita a insegnare formule o date, ma si assume il compito, la responsabilità, di educare persone consapevoli, capaci di vivere relazioni sane e libere da violenza. Il documento approvato invita il governo a colmare un vuoto legislativo che genera diseguaglianze educative: attivare corsi su base volontaria, lasciati all’iniziativa dei singoli istituti, significa perpetuare una scuola a due velocità, dove i territori più fragili, le periferie, i piccoli comuni, restano indietro. Un’educazione che sia davvero per tuttə deve essere garantita, gratuita, diffusa in maniera omogenea sul territorio nazionale. L’affettività non è un lusso da centro città. È un diritto.

Un appello che è anche una sfida

L’Italia ha bisogno di una scuola che accompagni gli studenti nel crescere, anche là dove si preferisce non guardare: nel corpo, nei sentimenti, nelle relazioni. Milano ha detto chiaramente che ignorare tutto questo significa lasciare i giovani soli davanti alla rete, agli stereotipi, alla violenza, al disagio emotivo. E non c’è più tempo per rinviare. Dietro questo ordine del giorno, c’è la volontà di costruire un’educazione nuova, che non censura il desiderio ma lo orienta, non teme le differenze ma le nomina, non reprime ma ascolta. Una scuola che non insegna solo a essere studenti, ma persone. Milano ha lanciato un messaggio chiaro a Roma: ora tocca al Parlamento e al Governo rispondere. Con una legge. Con coraggio. Con rispetto.