Olympo è più interessata allo sport che al sesso E per fortuna, vogliamo sottolineare

Nell’immaginario comune, e nella maniera di comunicare la sua uscita, Olympo viene venduta come la nuova Élite. I produttori, in fondo, sono gli stessi, ma lo show spagnolo creato da Jan Matheu, Laia Foguet e Ibai Abad fa un passo in avanti. Anzi, un tuffo. Ambientato nel mondo dello sport, con i protagonisti che si muovono all’interno di un istituto altamente qualificato per futuri atleti della nazionale, il titolo originale targato Netflix approfondisce di più lì dove Élite rimaneva solamente in superficie. Questo perché la serie non basa più solamente la propria trama sulle dinamiche emotive, sessuali e relazionali tra i personaggi, ma li inserisce in un contenitore più strutturato, seppur riconducibile all’alone giovanile e sfrontato del prodotto compare, arrivato fino all'ottava (e ultima) stagione.

Di cosa parla Olympo? Temi e protagonisti

Fulcro di Olympo è la competizione nel senso agonistico del termine, nelle sue sfumature più ataviche del bisogno e del desiderio di primeggiare, cercando di raggiungere i migliori risultati a qualsiasi costo. Due visioni che si scontrano nello show Netflix. Da una parte con la questione del doping che, ancora oggi, scalda parecchio gli animi degli appassionati e degli addetti ai lavori, dall’altra con il domandarsi cosa si è disposti a fare per conquistare i propri obiettivi nella maniera più tradizionale e rigorosa possibile. Un doppio sguardo di cui si fa perno il personaggio di Amaia, la giovane attrice Clara Galle classe 2002, impostata su una visione alla "american dream" per ciò che riguarda il conseguimento delle agognate vittorie e che sarà la prima a interrogarsi su cosa sta improvvisamente rendendo i suoi compagni più resistenti e preparati del previsto.

Ansia, pressione e il prezzo della gloria

Un argomento che si lega a stretto giro con lo sponsor che dà titolo alla serie, Olympo, e a tutte le responsabilità che comporta, andando a focalizzare la lente sulle conseguenze dei giudizi poco assennati che vengono presi, spesso guidati solo dal flusso dei soldi e del marketing, per uno sforzo che esclude a priori i propri atleti preferendo diventino più simili a delle vere e proprie macchine al posto di persone in carne ed ossa. Non solo la prestanza fisica, però; lo show attenziona tutto lo spettro delle ansie e delle pressioni a cui vengono sottoposto i protagonisti, aprendo ad un discorso che può travalicare lo schermo e interrogarsi tanto su quanti e quali sono i sacrifici che si è disposti a fare per ottenere la gloria, ma altresì quanto si è propensi a spingere un atleta oltre le proprie capacità sia fisiche che mentali.

Olympo, recensione della nuova serie di Netflix

Materie di dibattito che Olympo mescola ai rapporti che il cast corale va ad instaurare, non subordinandoli mai ai lati emotivi e piccanti che lo show desidera offrire, per cercare di attrarre a sé gli orfani di Élite. Lo show sembra infatti più maturo, nonostante segua al solito dinamiche e svolte già preventivate, ma spingendo sul serio sul tema caldo del doping e delle sue influenze all’interno del dibattito e delle prestazioni sportive, aggiungendo un quid in più all’operazione. Volutamente accattivante e cercando ancora una volta i volti giusti per sedurre gli spettatori, Olympo non rivoluziona i prodotti sul mondo dello sport, ma si interroga senz’altro su cosa comporta il voler vincere a tutti i costi. Come l’immagine stessa di un atleta condizioni le sue performance e, ancor più, l’opinione pubblica, che finisce per giocare un ruolo decisivo quando di scende in campo  o in piscina. Un’operazione che non risparmia confessioni, sotterfugi e segreti, mentre al contempo cerca di allontanarsene per rendere chiaro il proprio intento narrativo: mettere sul serio gli sportivi di fronte a un imprescindibile dilemma morale, su cui forse tutti gli atleti almeno una volta nella loro vita si sono soffermati a pensare.