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Il discorso sul femminicidio a Sanremo è stato un buco nell'acqua

Cosa c'era di sbagliato nelle parole dette sul palco

Il discorso sul femminicidio a Sanremo è stato un buco nell'acqua Cosa c'era di sbagliato nelle parole dette sul palco

Ogni anno, al festival di Sanremo, c'è almeno un momento di estremo imbarazzo. Di solito inerente a un monologo o a un momento sociale. Perché il festival, da grande spettacolo nazional popolare qual è, si sente un po' obbligato a fare sensibilizzazione. Per cosa non importa. Ci fu il momento immigrazione con Pierfrancesco Favino, criticato perché portato su quel palco da una persona bianca e non razzializzata. Ci fu quello "femminista" con Chiara Ferragni, che non sta passando un bel momento quindi non infieriremo. A volte sono i comici sul palco a fare satira e a creare problemi. Quest'anno niente monologhi e, fino a ora, niente comici. Durante la seconda serata, però, c'è stato un momento dedicato al femminicidio. Paura, eh?

Sanremo si occupa di femminicidio

Il problema è serio e molto sentito, soprattutto dopo un paio di casi di cronaca che hanno toccato particolarmente l'opinione pubblica lo scorso autunno-inverno. Il termine patriarcato è entrato nel discorso pubblico e si è affiancato al termine femminicidio, facendo arruffare più di qualche piuma, sempre più donne (famose e non) ne hanno parlato portando sul tavolo le loro esperienze, le manifestazioni in piazza dello scorso 25 novembre sono state più che mai partecipate. Come poteva, dunque, un evento mastodontico e sfaccettato come il festival non affrontarlo, nonostante le promesse di evitare la politica? Peccato che, come spesso accade, sia stato tutto sbagliato, dalla forma al contenuto.

Gli attori di Mare Fuori leggono "le nuove parole dell'amore"

Partiamo dall'inizio. La dinamica era semplice. Gli attori di Mare Fuori, serie Rai del momento, dovevano declamare le parole scritte da Matteo Bussola (autore, fumettista e scrittore italiano) sul tema. Un elaborato sulle nuove regole e sulle nuove parole dell'amore, che sono: ascolta, accogli, accetta, impara, verità, accanto, no e insieme. Senza farsi possedere dai pregiudizi, gli utenti social hanno trovato un po' strane queste scelte. Perché chiedere a uno scrittore uomo di elaborare su un tema così profondamente (purtroppo, oseremmo dire) femminile? E perché farlo fare ai ragazzi di Mare Fuori? La sensazione - senza nulla togliere agli attori, che si sono prestati al meglio delle loro possibilità - è che fossero stati incollati insieme due momenti (quello sul femminicidio e quello di promozione del prodotto) semplicemente per portare a casa il compitino, per economizzare sui tempi ingestibili di quel mostro a tre teste che è la kermesse. I temi sociali, però, non sono voci di una lista da depennare nella maniera più sbrigativa possibile. 

Cosa c'era di sbagliato?

Andando avanti nel momento, i dubbi si sono fatti sempre più profondi. Se in generale è sembrato che tutto fosse retorico e superficiale, molto lontano dal punto della questione - che è la disparità di potere tra uomini e donne nella società patriarcale e la presa di responsabilità e la consapevolezza da parte degli uomini e delle donne di questa realtà al fine di distruggerla e ricostruirla da zero - la parte finale è quella che è stata trovata più sbagliata. Infatti, l'ultima persona a prendere la parola ha detto: "Insieme è l’ottava parola. Una parola che può sembrare fuori moda soprattutto oggi in cui uomini e donne si vivono come avversari. Per questo che questa parola è la più preziosa, quella su cui investire per il futuro. Ciò che conta è che ricominciamo a guardare gli uni negli occhi degli altri. Quello che sceglieremo di vedere dipenderà solo da noi". E poi si sono messi a cantare la sigla. 

La falsa equivalenza e le parole di Matteo Paolillo

Questa idea della lotta tra i sessi, che è vecchia di almeno una cinquantina d'anni, è dannosa e crea una falsa equivalenza. La misoginia esiste, il contrario no. I femminicidi esistono, il contrario no. È un discorso vecchio come il cucco, che però va evidentemente ripetuto. Se una categoria subisce il potere di un'altra e ne è schiacciata, la reazione non potrà mai essere di prevaricazione sistematica, in quanto appunto reazione. Come se non bastasse gli utenti dei social, memoria storica del nostro millennio, hanno scovato e fatto girare degli screenshot tratti dalle storie di uno dei protagonisti ieri sul palco, Matteo Paolillo, che a una domanda sulla parità di genere aveva risposto: "Io aspetto ancora un'ora davanti a una discoteca al freddo solo perché sono maschio. Io guadagno di più e pago di più. Io vedo ancora chi sfrutta il corpo per denaro", facendo un mistone vergognoso di slutshaming e frasi fatte, equiparando l'aspettare davanti a un locale al guadagnare di meno, lavorare di meno, essere discriminata sul lavoro e nella vita, fischiata per strada e molestata. Come se le sex worker non fossero spesso vittime di violenza, tra l'altro. Insomma, un disastro su tutta la linea. 

Un questione di profondità e di coraggio

Siamo sicur* che tutto fosse stato organizzato in buona fede. Una sorta di appello accorato ai maschietti, che sono quelli che hanno bisogno di cambiare. Il modo di affrontare il discorso, però, è stato profondamente manchevole, troppo cauto, troppo infantile, da scuole elementari. Quando useremo le parole giuste? Quando parleremo di responsabilità e di come cambiare? Non si può sensibilizzare se non si dicono le cose come stanno, se si parla a slogan, se non si dà spazio a chi, contro il femminicidio e la violenza di genere, cerca di fare qualcosa ogni giorno