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E se la sindrome dell'impostore non fosse mai esistita?

Cambiamo punto di vista su un fenomeno che è stato patologizzato a scapito delle donne

E se la sindrome dell'impostore non fosse mai esistita? Cambiamo punto di vista su un fenomeno che è stato patologizzato a scapito delle donne

Quando raggiungete un traguardo importante, in qualsiasi ambito da quello accademico a quello lavorativo, pensate di esservelo meritate o di avere avuto solo fortuna? Cosa raccontate agli amici e che parole usate? "Finalmente ho ricevuto quello che meritavo dopo tutti questi anni di impegno" o "Queste responsabilità aggiuntive mi fanno paura, e ho l’ansia di non riuscire a farcela e di non essermelo meritato abbastanza"? Quando fate un esame non perfettamente, riuscite a liberarvi del brutto presentimento di non averlo passato? Il voto che prendete è più alto o più basso di quello che temevate? Vi concentrate di più sui vostri successi o sui vostri errori? Se quello che dite o pensate si avvicina più alla seconda opzione, se temete di fare male ogni cosa e se tenete una lista di tutte le cose che avete fatto male nella vostra vita da tirare fuori in ogni momento per piangerci su, potrebbero dirvi che soffrite di sindrome dell’impostore

Che cos'è la sindrome dell'impostore?

In cosa consista la sindrome dell’impostore è presto detto. Nel sentirsi una persona incapace, che non si merita quello che ha conquistato e che si trova in un posto solo per fortuna e non per merito, e che dunque verrà scoperto, cacciato e infamato in quanto hack. Questa sensazione, che si acutizza a mano a mano che si sale nella gerarchia delle mansioni lavorative, ha conseguenze serie. Ci rende insicure, ci impedisce di candidarci alle posizioni lavorative per cui pensiamo di non essere preparate, ci preclude opportunità e ci rovina l’umore e la vita quotidiana, un’insicurezza alla volta. Secondo alcuni si tratta di una condizione diffusissima, determinata anche dai tempi difficili. Quando le guerre impazzano, i risultati elettorali ci preoccupano, l’ecoansia ci paralizza e non abbiamo tempo di fare altro che riposare e preoccuparci, è normale che questa sensazione si allarghi a macchia d’olio, colando anche sul nostro lavoro, facendoci credere che stiamo fingendo di farcela quando in realtà non ce la stiamo facendo proprio per nulla. Adesso, però, nuove riflessioni emergono sulla sindrome dell’impostore. Responsabilità individuale o schema misogino per incastrare le donne e per fargli credere che la loro difficoltà dipenda solo e unicamente da loro e non da un ambiente ostile?

La nascita del fenomeno dell'impostore

Per rispondere a questa domanda, potrebbe essere utile tracciare la nascita di questo concetto, che è stato teorizzato nei lontani anni Settanta dalle allora dottorande di psicologia Pauline Clance e Suzanne Imes in un paper intitolato The Impostor Phenomenon in High Achieving Women: Dynamics and Therapeutic Intervention. In questo primissimo studio, nato dal confronto tra professioniste e studentesse dell’università del Kentucky, le psicologhe scrissero che le ragazze del loro campione provavano un senso intimo di falsità intellettuale e la paura che le persone attorno a loro le scoprissero, smascherandole. Paura, sensazione di star ingannando tutti, timore intimo di essere scoperte. Questo provavano le donne ambizione nel 1970. Nel 2020, uno studio condotto su 750 donne ha rilevato come il 75% di loro avesse provato questa sensazione a un certo punto della loro carriera, ancora e senza particolare miglioramento. Non stupisce, dato che ancora oggi pochissime donne riescono ad assumere ruoli di potere. Le donne, in generale, non solo sono in minoranza nelle posizioni manageriali, ma vengono apertamente ostacolate nella loro ricerca di lavoro e di realizzazione personale: la loro cosiddetta sindrome dell’impostore viene alimentata invece che combattuta.

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Le parole di Reshma Sauhajani

Insomma, un fenomeno esistente, teorizzato dalle donne per le donne, che è finito per essere utilizzato come una bandiera di insicurezza da risolvere con la terapia individuale, senza cercare di cambiare il resto. Proprio su questo ultimo punto si concentra Reshma Saujani, fondatrice di Girls who code e di Marshall Plan for Moms, che da sempre fa della sua missione l’assottigliare la disuguaglianza tra uomini e donne nel mondo, nel lavoro e in tutti gli altri campi. Secondo lei, infatti, la sindrome dell’impostore, così come è intesa oggi, è una bugia usata per compatire le donne, per normalizzare la loro sensazione di non essere abbastanza. Un sintomo trasformato in una patologia, qualcosa che le donne stesse devono risolvere dentro se stesse e non una spia che qualcosa non va nella società. Il fatto che le sue due teorizzatrici non lo avessero chiamato sindrome ma fenomeno potrebbe darle ragione. L'imprenditrice ha dichiarato a Glamour: "La sindrome dell’impostore non è un problema che possiamo risolvere noi. E non sto parlando soltanto di studentesse, laureate e dottorate. Per tantissimo tempo ho pensato che ci fosse qualcosa di sbagliato nel modo in cui ne parliamo. Mi sono seduta di fronte a CEO e senatori e ho pensato che le mie ragazze erano più sveglie di loro. Il modo in cui parliamo di sindrome dell’impostore è sbagliato ed è basato sul fatto che le donne insicure sono il problema. Non è così. Questa sensazione di disagio è solo normale in relazione ad alcuni ambienti, settori e comportamenti”.

Sindrome sì o sindrome no?

Che certe volte ci sentiamo degli impostori proprio non ci piove. Alcune donne però stanno cercando di cambiare focus e responsabilità, chiedendosi se il fenomeno dell'impostore sia una malattia o una reazione comprensibile a un clima ostile. Le risposte al problema cambiano di conseguenza. Non si tratta (solo) di affrontare le proprie insicurezze in terapia e parlandone con professionisti, ma di farci spazio con forza e caparbietà in un ambiente che non ci vuole, abituare alla nostra presenza, alzare la mano e parlare sempre e comunque, appoggiare le nostre colleghe e lottare.