I beauty look più iconici del cinema secondo Sofia Coppola Da Lauren Hutton in American Gigolò in a Catherine Deneuve in The Hunger, le muse che hanno ispirato l'estetica della regista

Nel cinema, il make-up non è mai solo make-up. È identità visiva, proiezione emotiva e simbolica, memoria personale, confessione interiore, desiderio inespresso. Nemmeno nel mondo di Sofia Coppola è mai un semplice dettaglio. È parte integrante di un linguaggio visivo fatto di silenzi, luce naturale e malinconia estetica. Racconta una bellezza non convenzionale, fragile, intima, profondamente personale. È il leggerissimo rosa sulle labbra di Charlotte in Lost in Translation, il blush sulle guance di Marie Antoinette, il tratto spesso di eyeliner nero che incornicia i grandi occhi azzurri di Priscilla. Ogni colore, ogni texture, ogni imperfezione scelta ha un ruolo narrativo: costruisce l’identità visiva ed emotiva dei suoi personaggi, spesso giovani donne in divenire, che si confrontano con un mondo che le osserva senza comprenderle davvero. Non sorprende quindi che, tra le sue fonti d’ispirazione, emergano film dove il trucco diventa quasi un personaggio a sé. Pellicole che Coppola ha citato in interviste e articoli come riferimenti estetici, rivelando un gusto che va oltre l’estetica e affonda nella psicologia e nel desiderio. Film in cui il beauty look serve a raccontare non solo la superficie ma l’interiorità, in modo silenzioso ma potentissimo.

I momenti beauty iconici nella storia del grande schermo di Sofia Coppola spaziano dalla classicità ipnotica di Rita Hayworth in Gilda, alla sensualità inquieta di Kim Basinger in 9 settimane e ½, fino all’austerità glamour di Lauren Hutton in American Gigolò.

Tess (1979): il volto puro e tragico di Nastassja Kinski

Il beauty look di Nastassja Kinski, interprete sullo schermo di Tess Durbeyfield, incarna l’innocenza tradita, una femminilità prigioniera. Costruito da Didier Lavergne con un tocco di realismo poetico, si ispira alla pittura pre-raffaellita, ai quadri di Sir John Everett Millais, Jean-François Millet e Jean-Baptiste-Camille Corot: pelle chiarissima, quasi diafana, sopracciglia naturali, guance leggermente arrossate, labbra appena colorate. Il momento del film preferito da Sofia Coppola è la prima scena tra Tess e Alec, quando lui le offre una fragola fresca e lei, mordendo il frutto, si macchia le labbra. Un piccolo dettaglio colorato che ravviva un viso “fresco e bello”. La regista ha spesso dichiarato di essere affascinata da questo tipo di make-up che sembra non esserci, ma in realtà è il frutto di un equilibrio perfetto tra cura e spontaneità. Le protagoniste dei suoi film, da Lux Lisbon alle sorelle March in Little Women (di cui fu produttrice), attingono direttamente a questa estetica fatta di luce naturale, guance rosate e labbra sussurrate. È la bellezza che non ha ancora imparato a difendersi e, per questo, irresistibilmente vulnerabile.

9 settimane e ½ (1986): la sensualità effortless di Kim Basinger

Se Tess è l’innocenza che scopre il dolore, 9 settimane e ½ è l’erotismo che si scopre fragile. È un film fatto di contrasti visivi: luce calda, ombre fredde, emozioni sfuggenti. Kim Basinger, l’attrice protagonista, ha una sensualità sofisticata ma incrinata, perfetta per l’universo visivo di Coppola. I suoi beauty look oscillano tra il controllo e il cedimento: il rossetto rosso profondo viene sbavato, cancellato, messo e tolto in un continuo dialogo con la scena. Le palpebre sono spesso truccate con ombretti caldi e metallici, ma mai pesanti. L’eyeliner, quando c’è, è morbido, appena sfumato. Non si tratta del trucco da femme fatale in stile noir, ma di un trucco vissuto, che si consuma con la narrazione. È la rappresentazione visiva dell’esaurimento emotivo, della perdita di sé. “In 9 settimane e ½, Kim Basinger era così femminile, sexy e naturale. Ero al liceo e la trovavo così matura e sofisticata. Adoravo la sua pelle naturale con l’eyeliner: quel mix.” Ricorda Coppola, che ha sempre guardato con fascino a questo tipo di trucco che parla della “performance dell’essere donna”. La protagonista di 9 settimane e ½, non è diversa dalle sue Charlotte, Lux o Priscilla: costruisce sé stessa con rossetti e ombretti, per poi sfaldarsi nei riflessi di una macchina da presa.

American Gigolò (1980): Lauren Hutton, l’eleganza quieta dell’Upper Class

Coppola ha spesso citato American Gigolò non solo per l’eleganza sartoriale, ma per il tipo di femminilità distante e minimalista incarnata da Lauren Hutton: “Il look fresco e disinvolto di Lauren Hutton, con i suoi capelli morbidi e ondulati in American Gigolò. Aveva un fascino fresco e naturale, come se si fosse appena svegliata. Il suo personaggio trasmetteva sicurezza e vulnerabilità: un look classico di quell’epoca”. Qui il beauty look è sottrazione. Lauren Hutton incarna una donna di classe, sobria, estremamente consapevole di sé. Il suo trucco è lo specchio di uno stile di vita: preciso, studiato, mai ostentato. Pelle perfettamente curata, con un finish opaco ma vitale. Gli zigomi sono appena scolpiti, le labbra portano colori neutri, spesso nude con un tocco caldo. Sofia Coppola ha sempre avuto una predilezione per questo tipo di estetica pulita, quasi invisibile. È il trucco della borghesia estetizzante, della donna che non ha bisogno di gridare per farsi notare. Ma anche qui, sotto la superficie elegante, si cela una tensione affascinante.

The Hunger (1983): Catherine Deneuve e l’estetica vamp

Catherine Deneuve in The Hunger è iconica: pelle d’alabastro, labbra rosso sangue perfettamente delineate, eyeliner grafico e capelli impeccabilmente platinati che sembrano scolpiti. È il volto di una vampira chic, “drammatica e misteriosa”, ma anche di una donna eternamente sola, condannata alla bellezza come prigione. Questo tipo di trucco profondamente teatrale reinterpretato da Sofia Coppola acquista dimensione emotiva, mostrando dietro quella perfezione glaciale il terrore della fine, della perdita. Il make-up diventa armatura e illusione, come accade in Priscilla, dove la protagonista costruisce un volto nuovo per adattarsi alla gabbia dorata in cui è entrata. Anche lì, rossetti, eyeliner e ciprie sono gesti di controllo in un mondo che la consuma. 

Gilda (1946): Rita Hayworth e l’archetipo del fascino

Rita Hayworth con i suoi capelli fiammeggianti, la pelle levigata dal chiaroscuro hollywoodiano e il rossetto perfetto, incarna l’idea di femminilità spettacolare. In Gilda, il make-up è espressione della finzione assoluta: tutto è artificiale, tutto è desiderio costruito, ma con un’intensità che commuove. Proprio per questo diventa sublime. Ripensando al film e alla sua protagonista Coppola ha raccontato “Da bambina ho visto Rita Hayworth in Gilda e ho pensato: 'Quella sì che è una donna!'. Era anche l'immagine di una donna adulta sicura di sé. Il suo personaggio mi è rimasto impresso: prima vedi i capelli, poi emerge, aveva un'aria misteriosa e quella bellezza raffinata degli anni ‘40”. Così non poteva che includerla nei suoi beauty cult. L’universo estetico della regista americana però non è fatto di eccessi, ma di sfumature. Anche nei momenti più glamour delle sue protagoniste c’è sempre un dettaglio che rompe l’incanto. Perché la bellezza, per Coppola, è tanto più forte quando sa di essere temporanea, effimera.