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La nostra identità è legata al latte che beviamo?

Vita, trionfo e morte del latte d'avena

La nostra identità è legata al latte che beviamo?  Vita, trionfo e morte del latte d'avena

Quando per una manciata di mesi qualche anno fa decisi di non mangiare carne - con la volontà di spostarmi eventualmente verso il veganesimo - uno dei problemi più grossi che mi si presentò fu quello dell'alternativa al latte. Non vivevo in una grandissima città, e trovare una bevanda vegetale che fosse paragonabile era difficile. Anche perché le uniche alternative reperibili nei supermercati erano soia, riso e mandorla. Ben presto diventai una vera esperta. Avevo la mia marca di latte di soia preferito da bere con il caffè o in cui tuffare i cereali, chiedevo ai baristi un cappuccino con latte di mandorla senza battere ciglio, preferivo quello di riso ghiacciato da bere da solo come bevanda rinfrescante. Quando smisi di provarci tornai contenta al latte di mucca, che per me rimaneva imbattibile. Non l'ho mai più sostituito da allora. I'm a cow milk gurl, e non c'è niente da fare. A proposito.

Il latte come simbolo di identità sociale e politica

Sono passati anni, e le alternative adesso sono veramente tante. A vincere su tutti, negli ultimi anni, è stato il latte d'avena. Che sia naturale, con zuccheri aggiunti o fortificato con proteine e B12 non importa. Nel tempo, la bevanda è diventata un elemento di personal branding, parte di un'identità più complessa. Secondo gli utenti di TikTok e Twitter, ad esempio, quando entri in un bar e la persona che ci lavora ti chiede se vuoi il latte d'avena nella tua bevanda probabilmente significa che ti considera visibilmente queer, che ti riconosce. Allo stesso tempo, da Tumblr a TikTok il latte di mucca è stato bistrattato, chiamato disgustoso, collegato ad approcci alla vita conservatori, allo stile di vita delle trad wives e chi più ne ha più ne metta. Insomma, il latte d'avena, inizialmente promosso a gran voce dalle vegan influencer come miglior alternativa (in termini di salute oltre che in termini di sostenibilità ambientale) al "latte vero" è diventato adesso una caratteristica della personalità a inquadrare uno specifico tipo di persona, tanto che anche i conservatori, nel demolire le spinte liberali presenti all'interno della generazione Z, hanno iniziato a parlare in maniera dispregiativa dei ragazz* con i capelli blu che bevono latte d'avena.

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Il latte d'avena è sano?

I trend arrivano, passano e se ne vanno, anche nel mondo del food. Nascono e muoiono nelle comunità online, escono dalla bolla iniziale, esplodono e poi, tragicamente, passano di moda. A volte, in uno di questi stravolgimenti, diventano addirittura significanti politici, stendardi di identità. Adesso anche il momento del latte d'avena è passato. La nostra attenzione si sposta dal veganesimo e dalla sostenibilità per indagare cose più specifiche e individuali come i livelli di glucosio e la salute delle pareti dello stomaco, e si scoprono gli altarini. Secondo la biochimica francese e scrittrice del libro Glucose Goddess Jessie Inchauspé, ad esempio: "Il latte d'avena viene dall'avena, che è un seme di cereale. I semi di cereale hanno l'amido. Quando bevi il latte d'avena stai bevendo succo di amido, che ha un sacco di glucosio e che quindi porta a un picco glicemico." Rincara la dose la nutrizionista Sarah Carolides: "È praticamente tutto carboidrati. Il latte di mucca ha molte più proteine, e sono proteine complete". I rischi che potrebbero essere derivanti dal consumo di latte d'avena? Possibile gonfiore e squilibrio batterico nello stomaco. Cosa dobbiamo bere? Latte di natura animale o proveniente da frutta secca, pare. 

La nuova moda è il latte di mucca, e non abbiamo scelta (o sì?)

Adesso, dunque, seguendo la cieca legge dell'alimentazione social chiunque in questo momento stia bevendo latte d'avena dovrebbe rinnegarlo - svuotarlo nel lavandino come la protagonista con un problema di dipendenza dall'alcol in un film drammatico, preferibilmente in accappatoio -  e iniziare a bere latte di mucca direttamente dal cartone, sbrodolandoci sul mento e pulendoci con la manica come James Dean. Realistico? No. Sano? Neanche. Perché, se non abbiamo riscontrato grossi problemi, dovremmo rinunciare a bere il latte che ci piace di più? Perché ogni nostra microabitudine dovrebbe essere decisa da quello che dicono le persone sui social? La vita è breve, rapportarsi con il cibo in maniera sana spesso difficile. È inverosimile, fa parte di una certa brutta diet culture - diffusa anche in televisione oltre che sui social - e come se non bastasse ci mette anche una grande pressione addosso sentire che tutto quello che facciamo, ingeriamo e consumiamo debba essere al 100% il più sano possibile. Liberarsi da questa trappola mentale potrebbe essere un inizio per vivere più sereni. Anche solo un po'. 

Cibo, diet culture e identità: una questione complessa

Quando si parla di cibo, moda, identity culture online e significati politici le cose si complicano, ramificandosi e sfumandosi all'infinito. Affrontato il discorso healthy o non healthy, e mettendo da parte quello sulla sostenibilità (che non è il punto di questo articolo), la palla passa al resto. Facciamoci una domanda: se il latte d'avena è diventato il baluardo di un certo attivismo arcobaleno (e si può discutere per ore su quanto è giusto che lo sia diventato e cosa dica di noi e della nostra superficialità) cosa succede se viene a mancare? Il problema dei core, dei trend, delle bolle è che tendono ad assolutizzare. Davvero la nostra identità e il modo in cui ci percepiamo e veniamo percepiti nel mondo dipende da come macchiamo il nostro caffé? Suona superficiale, ma per alcune persone anche un po' sì, insieme a molte altre cose (speriamo). Il passo successivo è scorporare tutte queste briciole minuscole che decidono chi siamo e a che gruppo apparteniamo, e metterle in una scala di priorità. Il latte d'avena finirà molto in basso. Così come, allo stesso identico modo, quello di mucca. Siamo forse costrett* a cercare i nostri valori da un'altra parte? Alleluja.