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Gennaio è il mese della diet culture

Le sfide e i buoni propositi per il 2024 potrebbero portarci fuori strada?

Gennaio è il mese della diet culture Le sfide e i buoni propositi per il 2024 potrebbero portarci fuori strada?

Le festività non sono ancora nemmeno finite, e già stiamo facendo un preciso e spietato bilancio del 2023 e pensando ai nostri buoni propositi per il 2024. Scrivere e leggere di più, viaggiare di più, lamentarsi di meno, mandare una mail a quell’associazione di volontariato a cui pensiamo da un po’ per dare una mano, imparare a nuotare o a guidare l’automobile, passeggiare in montagna, conoscere persone nuove ed eliminare quelle vecchie che non ci piacciono più. Tra tutti questi buoni propositi se ne nascondono altri meno buoni, annidati nel nostro inconscio di bambina degli anni 90 e dei duemila, che vengono fuori con maggiore veemenza soprattutto dopo un pranzo di Natale particolarmente abbondante o dopo l’ottava colazione a base di panettone ai frutti di bosco e cioccolato fondente. Si tratta di tutti quei propositi che hanno a che fare con il cibo, con la dieta, con il consumo di una certa tipologia di alimento o di bevanda, con l’esercizio fisico: insomma, qualsiasi cosa possa farci avvicinare pericolosamente alla cosiddetta diet culture

Cos’è la diet culture?

Ci avete fatto caso? La società ci spinge alla magrezza, in maniera più o meno subdola o spudorata, nascondendosi dietro motivazioni come la salute ma in realtà cercando di venderci soprattutto due cose. In primis, i prodotti: quelli proteici, senza zucchero, con pocchissime calorie, per drenare, per detossinare, per espellere i liquidi in eccesso, per eliminare la cellulite, per snellire il viso, le cosce, il culo, le braccia, la pancia. A un livello già profondo, però, la società ci vende un’immagine. Un’immagine di bellezza codificata al millimetro, una donna ideale magrissima ma tonica, felice, che pensa costantemente alla cura della sua pelle, al suo indice di grasso corporeo, alla qualità del cibo che ingerisce, che è contenta di mangiare insalate e di andare a correre, che non si lamenta mai e che trova che tutto questo sia assolutamente effortless. Una donna che, in breve, non esiste, ma che serve a vendere. Questo e molto altro è la diet culture, di cui la dietologa e autrice di Anti-Diet: Reclaim Your Time, Money, Well-Being, and Happiness Through Intuitive Eating Christy Harrison, ha identificato i 4 pilastri principali. Secondo lei, la diet culture venera la magrezza, equiparandola a salute e virtù morale, promuove la perdita di peso come mezzo per raggiungere uno status (morale, di salute e sociale) più elevato, demonizza alcuni cibi mentre esalta altri, creando una dicotomia tra cibi buoni/cattivi, puliti/sporchi e sani/malsani, opprime le persone che non corrispondono a una presunta immagine di salute e benessere. Se ci pensiamo un secondo, la diet culture si nasconde ovunque: si annida dietro i cartelloni pubblicitari e nei commenti dei parenti, sui social e nei bar, si trasforma in bodyshaming, fatshaming e pretty privilege, informa le nostre scelte quotidiane.

Dry January e Veganuary 

I buoni propositi, ormai, sono talmente inflazionati dall’essere diventati quasi codificati. A quelli classici si aggiungono delle vere e proprie sfide a cui ci si può iscrivere tramite siti specifici, che poi ci aiuteranno a tenere traccia dei nostri progressi e ci metteranno in contatto con le altre persone che hanno fatto la nostra stessa scelta, creando una community. Veganuary, ad esempio, è un movimento fondato nel 2014 da Jane Land and Matthew Glover per promuovere uno stile di vita vegano in maniera sostenibile per chiunque, partendo dal solo mese di gennaio. Anche solo eliminando la carne e i prodotti di origine animale dalla nostra dieta quotidiana per un mese, infatti, possiamo fare la differenza sul consumo globale e sui problemi che l’industria della carne infligge all’ambiente, ai lavoratori e agli animali. Veganuary è cresciuto molto negli ultimi 10 anni, arrivando ad avere più di 500mila iscritti ufficiali nel 2021. Sulla stessa riga Dry January, iniziativa portata avanti da Alcohol Change UK a partire dal 2013 che propone di eliminare qualsiasi bevanda alcolica per tutto il mese di gennaio. Le motivazioni sono svariate: si sceglie di eliminare l’alcol per equilibrare i bagordi del mese di dicembre, per sentirsi meglio, per imparare a non sentirsi obbligati a bere ogni volta che si esce di casa con gli amici, per risparmiare o semplicemente per riposarsi.

Come la diet culture incide su questo tipo di sfide alimentari

Diverse sono le motivazioni che potrebbero spingere qualcuno a lanciarsi nel Veganuary o nel Dry January. Potrebbe essere semplicemente la voglia di mettersi in gioco, di testare i propri limiti, di avere la sensazione di dare una mano, di vedere dove si arriva, di capire quanto - effettivamente - dipendiamo dal calice di vino o dal tagliere di salumi e formaggi, si potrebbe trattare addirittura di motivazioni inerenti alla nostra salute e al nostro benessere. Come facciamo però a sapere se sotto sotto non c’è anche una certa voglia di perdere peso? Di "rimetterci in sesto" (qualsiasi cosa voglia dire) dopo le feste? Dopotutto, la diet culture è così corrosiva e penetrante che è difficile anche scindere queste ragioni (comunque valide) dalla volontà di essere quella donna perfetta e inesistente di cui si parlava qualche paragrafo fa. Secondo Veronica Castro, ad esempio, l’approccio "tutto o niente" di queste sfide potrebbe dimostrarsi troppo limitante e contribuire a far sviluppare ansie o ossessioni in chi decide di portarle avanti, soprattutto se si tratta di persone che hanno una storia con disturbi del comportamento alimentare di qualsiasi entità. Per quanto riguarda l'alcol, poi, il problema è ancora più sfumato. Entrano in gioco le pressioni sociali, il tema enorme e sfumato delle dipendenze, che è da trattare a parte. Impossibile non rendersi conto di quanto il consumo di bevande alcoliche sia richiesto e quasi obbligatorio in una miriade di occasioni, e come la cultura dell'alcol abbia fatto i suoi buchi nella nostra socialità, bypassando in alcune occasioni la diet culture, che demonizza molto di più alimenti meno rischiosi. 

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Cosa fare per proteggersi?

Non c'è una soluzione univoca e semplice a questo tipo di pervasività. L'unica cosa da fare, lentamente ma spinti da buona volontà, è cambiare il nostro rapporto con il cibo e con l'alcol, anche con l'aiuto di un terapeuta o di un nutrizionista, che saranno felicissimi di "insegnarci" un approccio libero da angosce all'alimentazione. Utile anche rifiutare in ogni caso la mentalità del tutto o niente, imparando a conoscere il nostro corpo e a non esagerare, ma senza imporci nulla. Se vogliamo bere un bicchiere di vino o mangiare una bistecca che sia, con la consapevolezza che anche diminuire (e non per forza eliminare di punto in bianco) il consumo di queste cose potrebbe fare bene a noi e agli altri.