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Anche a Milano, le donne guadagnano meno degli uomini

Il gender pay gap non conosce confini

Anche a Milano, le donne guadagnano meno degli uomini Il gender pay gap non conosce confini

Sono arrivata a Milano nel 2017, per studiare. Venivo da una realtà parecchio più piccola, e la grande città era per me una sfida emozionante, bellissima. Per mesi, non ho fatto altro che andare all'università e poi al cinema, ai concerti e a tutte le mostre che riuscivo a trovare. Mi sentivo travolta dalle possibilità, dalla varietà delle esperienza che questa città mi prometteva ad ogni angolo. Vivevo in un bolla di privilegio in cui i miei unici doveri erano studiare e assorbire gli stimoli, tutti quanti. Quando mi sono laureata, le cose sono cambiate in maniera abbastanza precipitosa. Ho scoperto molto presto che il costo della vita stava aumentando insieme agli affitti e non aveva intenzione di fermarsi, che trovare un lavoro che dava delle garanzie era molto complicato, che i giovani professionisti (almeno in alcuni ambiti) si sentivano quasi obbligati a diventare freelance con partita IVA, e questa cosa comportava delle spese non indifferenti. Negli ultimi anni Milano, considerata una città di opportunità, è diventata un caso studio in negativo e, adesso, viverci è un sacrificio, un compromesso, qualcosa che è sempre più difficile giustificare, soprattutto per le donne.

Il gender pay gap e la disparità retributiva nel mondo

Che le donne guadagnino meno degli uomini, purtroppo, non è una novità. È così in tutto il mondo, in maniera praticamente trasversale. Ci sono stati dei miglioramenti, lentissimi, negli ultimi 10 anni, ma la direttiva europea per la parità di retribuzione (che include un divieto di discriminazione su base di genere) è diventata ufficiale solo nel maggio 2023. Di conseguenza, nell'Unione Europea le donne guadagnano in media il 13% in meno dei colleghi maschi. Secondo il CGIL, in Italia le posizioni di dirigenza in Italia sono occupate solo per il 18% da lavoratrici donne. E non si faccia l'errore di credere che sia così solo per i lavori più comunemente considerati umili o meno prestigiosi: è così in tantissimi settori, compreso il mondo accademico, e a tutti i livelli. Secondo l'ISTAT nel 2020 a Milano il salario medio per un uomo era di circa 43.400 euro. Per le donne, si parlava di 34.500 euro.

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La situazione a Milano e in Lombardia

Se i dati mondiali, europei e italiani sono relativamente semplici da reperire, per quanto riguarda la città di Milano nello specifico le cose si fanno più complicate. Secondo Dossier, che ha analizzato quelli provenienti da diverse casse e ordini professionali di Milano - tra cui quella degli psicologi, quella dei commercialisti, quella degli avvocati, quella dei biologi e quella degli infermieri - e ha raccolto testimonianze di giovani professioniste, però, il problema persiste, anche nella città delle opportunità, spesso raccontata come moderna, perfetta, più avanti del resto d'Italia. L'ultimo rapporto di AdEPP, che queste casse le riunisce, conferma e sottoscrive il dato: un uomo fra i 30 e i 40 anni guadagna 20 mila euro lordi, una donna 17 mila. Le donne in Lombardia guadagnano il 14% in meno degli uomini su base annuale. Le differenze non si fermano alla retribuzione, ma si allargano anche alle tipologie di contratto. Le donne sono assunte part-time più spesso degli uomini, e questo fa scendere i loro redditi, non gli permette di accedere a posizioni più elevate e gli impedisce di fare carriera. E se nel resto dell'Italia va ancora peggio, questo non vuol dire che quello che succede a Milano sia giustificato o accettabile

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Cosa contribuisce a questa disparità?

La prima cosa che viene in mente, pensando ad esempio alle differenze di inquadramento contrattuale tra uomini e donne, è il retaggio patriarcale che vuole la donna come unica o quasi responsabile della casa e dei figli, costretta a rinunciare alla carriera per la famiglia. Non solo. Molte donne subiscono molestie e discriminazioni sul lavoro, vengono licenziate se incinte, subiscono battute sessiste in sede di colloquio e anche dopo l'assunzione. Secondo i dati raccolti da Fondazione Libellula nel 2022, il 47% delle donne che si trovano in posizioni dirigenziali ha subito contatti indesiderati sul luogo di lavoro. Il dato raggiunge il 54% se si tratta di imprenditrici. Con questi presupposti, stupisce che le donne lavorino e guadagnino di meno?

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Cosa possiamo fare?

Una buona abitudine - soprattutto quando si lavora in aziende private - potrebbe essere quella di chiedere ai colleghi uomini quanto guadagnano. Un ambiente di lavoro in cui si parla di compensi in modo libero spinge alla parità salariale. Denunciare le disuguaglianze, i comportamenti scorretti, fare luce sulle differenze di trattamento, poi, è utile a sensibilizzare l'opinione pubblica al problema, spingendo altre lavoratrici a loro volta a ribellarsi, a cercare di meglio, a parlare. Ancora, si dovrebbe separare la figura della donna da quella di angelo del focolare, e pretendere dagli uomini, qualche volta, una rinuncia per il bene della famiglia. Il concetto di famiglia stessa dovrebbe modificarsi, insieme a quello di società. Un cambiamento profondo, che vada a toccare i fondamenti del patriarcato, si rifletterebbe necessariamente sul lavoro, sul gender pay gap e sulle differenze nelle percentuali di occupazione. Un passo alla volta.