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Non solo Sanremo: l'ambiente musicale italiano è misogino?

Abbiamo chiesto un parere a Tutta Scena

Non solo Sanremo: l'ambiente musicale italiano è misogino? Abbiamo chiesto un parere a Tutta Scena

"È una spiegazione fisica, di vocalità. La voce maschile è più armoniosa, più gradevole; invece, le voci femminili aggraziate, belle, dolci sono sicuramente poche, molte di meno di quelle maschili. Non è un caso che ci siano molti più cantanti maschi: la voce maschile ha una gradevolezza migliore, quella femminile ha frequenze diverse, vengono apprezzate veramente solo quando sono davvero speciali". A dire queste parole è stato Francesco Renga ormai 6 anni fa, nel contesto delle polemiche inerenti la percentuale di donne in gara al Festival di Sanremo diretto creativamente da Claudio Baglioni. Su 24 concorrenti in gara, infatti, solo 4 erano donne.

Sanremo oggi: il numero di concorrenti donne 

Non è che sia tutta colpa di Baglioni, eh. Anche negli ultimi anni, quelli dell'era Amadeus, le cose non sono andate tanto meglio. Nel 2023, ad esempio, erano presenti solo 10 donne su 28 concorrenti in gara, contando anche Francesca Mesiano (in arte California) dei Coma Cose, che ha cantato insieme al collega e marito. Nessuna di loro è finita sul podio. Immediatamente dopo la sua vittoria, Marco Mengoni ha dichiarato: "Dedico questo premio a tutte le donne che hanno partecipato al Festival. Ci sono rimasto molto male, sarebbe stato bellissimo avere sul palco con noi almeno una donna. Avevano canzoni meravigliose. Credo che dobbiamo andare avanti e cambiare qualcosa in questo paese". Che è più o meno il contrario di quello che ha detto Renga, ma ha la stessa utilità fattiva. Anche perché quest'anno le concorrenti in gara sono ancora 10 - questa volta su 30. Nonostante tutto, non si capisce bene perché, si sono sprecati i titoli: è il Sanremo delle donne. Ma ne siamo sicur*? Una eventuale vittoria risolverà un problema endemico che va avanti da anni? La verità è che Sanremo è un riflesso della situazione italiana attuale, e la prospettiva non è rosea. Basta chiederlo a Elodie, a Loredana Bertè e a Clara, solo per fare qualche esempio. 

Proviamo a contestualizzare con Tutta Scena

Per rispondere a queste domande, per contestualizzare e per aprire alla riflessione abbiamo deciso di fare qualche domanda a Tutta Scena, che si autodefinisce "femmina che frequenta ambienti musicali underground da più di 15 anni" e che vuole far partire un cambiamento dal basso, partendo da una pagina su Instagram. Lei ci ha fatto pensare a come la misoginia della musica italiana non si limiti al trattamento delle artiste, ma si allarghi anche ai testi: "Tempo fa mi è capitato di leggere Il maschilismo orecchiabile, un saggio del filologo Burgazzi, dove viene effettuata un'approfondita analisi di 170 testi di canzoni italiane del periodo tra gli anni Cinquanta e il Duemila. La rappresentazione della donna spazia dalla figura angelica, immobile, ammaliatrice, traditrice, trofeo, proprietà, preda alla bambolina. Pensiamo alle nostre canzoni preferite di questi anni, o quelle che i nostri genitori e nonni ci cantavano: sono impregnate di narrazioni politicamente scorrette poiché riflesso di un'ideologia dominante". Ha senso pensare la musica come forza politica, nel bene e nel male? Secondo Tutta Scena assolutamente sì: "Mi sento di poter dire esplicitamente che la musica non è solo una melodia priva di significato: è un costrutto culturale che spesso procede di pari passo con i modelli dominanti. La musica può essere un prodotto che critica l'ideologia dominante machista, patriarcale e coloniale attraverso la propria narrazione, ma rimarrà sempre un prodotto che prende vita e continua a riprodursi con i mezzi di una società capitalista e maschilista".

Sanremo, l'inclusività e l'idea della donna-angelo

Come si applica questo discorso al Sanremo che stiamo guardando? Ad esempio, si potrebbe aprire una parentesi sull'inclusione di corpi diversi, che poi è uno dei temi della canzone di BigMama, ma non solo. "Sarebbe veramente inclusione non stupirsi più per l'esibizione su un palco di una donna grassa vestita in latex, o a non etichettare come femminile determinate tematiche o accessori, o a trattare con normalità una persona disabile senza farci cogliere dal pietismo e dall'immaginario di persona guerriera" dice Tutta Scena. "Il punto è che non siamo abituatə a vedere in tv persone che non ricalcano l'immaginario ideale che ci è stato propinato per anni: conforme, giovane, etero. La realtà è però più complessa di così". E menomale. E sulle parole di Renga con cui abbiamo aperto l'articolo allarga il discorso, contestualizzando: "Sempre per una questione di privilegio maschile, le persone socializzate maschi, saranno più inclini a essere giudicati solo per le loro capacità canore. La persona socializzata femmina, sul palco invece porta insieme la sua storia, il suo modo di essere, la sua fisicità e non solo la sua voce. La femmina sul palco è una creatura-angelo (per citare il mitico Renga) che non può essere e basta, ma deve dimostrare di meritarselo quel posto, sempre per i soliti meccanismi patriarcali".

Misoginia e inclusività nella musica, cosa fare?

I comportamenti scorretti e misogini non accadono solo sul palco e dietro le quinte, ma anche tra il pubblico. "Giudicare una ragazza che è sul palco per come è vestita e permettersi di giudicare il suo fisico con commenti da bullo non richiesti è un comportamento misogino. Ovviamente un uomo non riceve lo stesso trattamento. Di comportamenti che in generale escludono ne esistono parecchi ma partirei dalle location fisiche: non sempre sono accessibili a tutte le persone neurodivergenti e disabili". Cosa c'è da fare? "Purtroppo i cambiamenti richiedono tempo e pazienza. Sicuramente prendere consapevolezza del proprio privilegio è un primo passo. Parlarne, parlarne e ancora parlarne, con chi vi capisce e chi no. Sbagliare è fondamentale quando si impara a decostruire il proprio privilegio e la propria sovrastruttura sociale, tenendo sempre presente che a meno che andiamo a vivere su un eremo in montagna, faremo sempre parte di quella cultura e anche i nostri strumenti critici saranno viziati. Io ad esempio sono partita dai miei genitori, poi gli amici e poi ho pensato che mi sarebbe piaciuto parlarne anche a persone sconosciutə".

L'importanza di parlarne

E Tutta Scena vuole fare proprio questo: parlarne. "Quello che voglio fare è infondere consapevolezza e costruire una comunità dal basso basata su principi quali il mutuo-aiuto. Non c'è giudizio ma autocritica attraverso la decostruzione di quelle che sono le cose che diamo per scontate anche quando ci divertiamo nel tempo libero. La musica undeground si fa portatrice di valori politici fondamentali che dobbiamo portare anche nella realtà e renderli concreti. Per me non c'è musica senza politica".