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Cosa ci resta di Sanremo 2024

Una brutta opinione della Rai e del futuro un buco nero

Cosa ci resta di Sanremo 2024 Una brutta opinione della Rai e del futuro un buco nero

La 74esima edizione del Festival di Sanremo è giunta al termine, chiudendo la settimana santa della televisione italiana e lasciandoci con un bel pugno di niente (ma con almeno 4 o 5 tormentoni). A trionfare è stata Angelina Mango e non sono mancate le polemiche e i look da ricordare, tanti quanti sono stati i momenti assurdi e indimenticabili. Quando una cosa finisce, però, la si può guardare nella sua interezza, cercando di inviduarne pattern e temi ricorrenti, pregi e difetti, successi e buchi nell'acqua. Anche rispetto agli anni passati e facendosi qualche domanda sul futuro anche quello prossimo. Si è trattato di un Saremo piuttosto moscio e superficiale. L'unico guizzo di ribellione lo abbiamo avuto da parte di alcuni cantanti (in particolare Ghali e Dargen D'Amico) che hanno voluto esprimere i loro pensieri su una delle situazioni più delicate degli ultimi decenni, il genocidio palestinese, e che in cambio hanno ricevuto un comunicato ufficiale letto in diretta da Mara Venier che ribadisce la contrarietà della Rai (e del governo Meloni) a questo tipo di esternazioni. In risposta a ciò, il collettivo Giovani Palestinesi di Milano ha annunciato un presidio nazionale previsto per il 14 febbraio alle 18, di fronte alle varie sedi della Rai. A Milano questa iniziativa, simbolo di solidarietà e difesa della libertà di espressione, si terrà a corso Sempione 27. Un segnale concreto di dissenso e impegno civico in risposta alle azioni della Rai, a cui seguirà uno sciopero generale il 23 febbraio per la causa palestinese.

Sanremo, un problema di superficialità

Se durante Sanremo 2023 si era registrata un'ambiguità di fondo, una spinta al nuovo e al ribelle che però, quando sfuggiva di mano, veniva immediatamente ricondotta all'ordine della prima serata Rai, che puzza di stantio quanto le persone sedute nelle prime file al teatro Ariston (basti pensare alle reazioni scomposte a Blanco che prende a calci le rose, e alla democristianità degli appelli all'educazione e al rispetto da parte di un pubblico di fischiatori e urlatori di professione) quest'anno il festival ha messo una croce su qualsiasi tentativo di apertura alla contemporaneità che andasse oltre i concorrenti scelti per la gara, e neanche quelli sono stati capiti. Anche se Geolier è il più ascoltato d'Italia, la sua vittoria alle serata cover ha scatenato i peggio complotti antimeridionalisti (in mezzo alle critiche poste in maniera sensata), costringendo Amadeus ad appellarsi al rispetto nei confronti della gara e della persona. Non migliore fortuna hanno avuto i temi più discussi del momento, che rotolando su quel palco sono stati svuotati di qualsiasi profondità di riflessione, trasformati in una recita di fine anno, incastrati a forza tra una canzone e l'altra, o peggio tra un siparietto e l'altro, un colpo di frusta disorientante da cui è stato difficile riprendersi, persino dal divano di casa. 

Sanremo vuole piacere a tutti

Il problema di questo Sanremo, il quinto (e in teoria ultimo) di Amadeus come presentatore e direttore artistico, è che non si accontenta: vuole piacere a tutti. Ci riesce pure, visto che gli ascolti sono stati astronomici e la partecipazione social altrettanto, ma nel processo perde qualcosa. Vuole fare tutto, e alla fine non fa niente. E che la competizione sia molto sentita, discussa e partecipata conta fino a un certo punto. La kermesse, da sempre o quasi, è più che una gara: è uno specchio, una bandiera, un punto di raccolta, un modo per fare un saltino nel famigerato Paese Reale. Cosa ci ha detto, questo Sanremo, del Paese Reale? Che è superficiale, che affronta le questioni sociali come fossero gli item di una lista da depennare, una to do list di strani monologhi inconcludenti, recite di paroline importanti. E per la riflessione collettiva e politica non c'è proprio tempo. Abbiamo fatto quello che dovevamo, e cioè il minimo, e ce ne possiamo andare a casa. 

Il pubblico e l'influenza dei social network

Il pubblico, alla fine, si adatta. Sanremo deve e dà ai social, che in cambio offrono spunti, ascolti e meme. Il Sanremo di Amadeus, infatti, è stato quello della viralità a tutti i costi, delle twitcronache e della gamification della kermesse attraverso il FantaSanremo. Inutile (e miope) dire che non si fa politica a Sanremo, teatro sociale di primo piano, spazio soggetto a influenze che arrivano da tutte le parti, che se davvero volesse evitare la politica allora dovrebbe evitare di usarne i temi per guadagnare punti agli occhi dei giovani, target golosissimo e inseguito da tutti. Due pesi e due misure: se vuoi usare certe istanze non puoi ribadire la tua apoliticità. Il divario tra pubblico giovane e pubblico vecchio o adulto si allarga, e la Rai non è disposta a fare uno strappo, impantanandosi in situazioni ambigue e assolutamente non incisive. Meglio di niente? Forse era davvero meglio niente

E adesso?

La domanda sorge spontanea. La Rai ha cambiato amministratore delegato, il ciclo di Amadeus è finito. Cosa dobbiamo aspettarci da Sanremo 2025? Le opzioni sono tante. Si può ripescare dal cappello (e dai ranghi Rai) un ex presentatore come Antonella Clerici o Carlo Conti, speriamo non Massimo Giletti o Pino Insegno. Si può tornare a scindere le due figure del direttore creativo e del presentatore, scegliendo per il primo compito un pilastro della musica o della televisione e dando invece il compito di condurre a una nuova leva, giovane per gli standard nostrani (Alessandro Cattelan ha 43 anni). La sensazione generale, però, è che Sanremo non era mai stato così vicino e allo stesso tempo così lontano dalla realtà dei giovani, e che la mancanza di Amadeus si farà sentire soprattutto sul pubblico arrivano negli ultimi 3 anni. Il futuro di Sanremo è un buco nero, ma possiamo pensarci tra qualche mese.