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Esiste un test che misura la rappresentazione femminile sullo schermo

Il tuo film preferito passa il Bechdel test?

Esiste un test che misura la rappresentazione femminile sullo schermo Il tuo film preferito passa il Bechdel test?

Appena trasferita a Milano non conoscevo nessuno. Sotto casa, però, avevo un bel cinema. Un giorno, per ingannare l’attesa (le mie lezioni sarebbero iniziate solo qualche giorno dopo) andai a vedere Arrival, film del 2016 con Amy Adams diretto da Denis Villeneuve. Ne fui entusiasta. Il giorno dopo, però, una mia amica mi comunicò che il film purtroppo non passava il Bechdel Test. Voi, quando guardate un film, cosa notate di più? C’è chi si appassiona alle scenografie o alla fotografia, alla composizione della scena. C’è chi, invece, nota tutti i dettagli di scrittura, misura i dialoghi e il modo in cui la storia si sviluppa, gli svicoli di trama, le spiegazioni e la verosimiglianza. Altre persone, poi, guardano ai personaggi in particolare. Sono abbastanza approfonditi e sfumati? Servono bene la storia che rappresentano? Le loro azioni hanno valore e verosimiglianza? Insomma, l’arte cinematografica è complessa e sfaccettata, e ognuno si concentra su un suo aspetto o su altro come suo prediletto, quello che gli fa decidere se promuovere o bocciare un film. Io, di Bechdel Test non sapevo nulla e, onestamente, non ci avevo fatto caso. 

Cos’è e come nasce il Bechdel test?

Era il 1985. La fumettista Allison Bechdel disegnò un fumetto breve, una vignetta autoconclusiva intitolata The Rule che, in maniera praticamente inconsapevole, diede vita al cosiddetto Bechdel test. Nei disegni, vediamo i due personaggi della serie di strisce intitolata Dykes to Watch Out, Mo e Ginger, parlare di cinema. Una di loro spiega all’altra quali sono i criteri che la convincono ad andare a vedere un film: che ci siano almeno due donne, che parlino tra di loro, che l’argomento di questa conversazione non sia un uomo. Facile, no? Questa striscia incredibilmente fortunata ha una serie di ramificazioni, sia nel passato che nel futuro. Che le relazioni donne, nella fiction, sono semplificate e spesso ruotano attorno al protagonista maschio di turno lo aveva già notato ad esempio Virginia Woolf, nel suo saggio sulla presenza femminile nella letteratura intitolato Una stanza tutta per sé. Era il 1929. Adesso, quasi 100 anni dopo, il Bechdel test ha tantissime versioni, è al centro di un’infinità di dibattiti e teorie sul cinema (sia in assoluto sia su quello contemporaneo) ed è usato come primissimo metodo di scrematura per indagare non solo la rappresentazione delle donne sullo schermo, ma anche le relazioni tra loro. Negli anni, tantissime altre regole vi si sono aggiunte, ma le prime tre rimangono le più veloci e importanti. Una base da cui partire.

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I film bocciati e quelli promossi

Prima di lanciarci nelle implicazioni del Bechdel test, però, facciamo una lista di film che lo superano e che non lo superano. Online ci sono moltissimi siti dedicati a questa divisione, che spesso non è esattamente bianca o nera, ma un po’ grigia. Per la cronaca, Arrival viene considerato nel mezzo, e le opinioni non sono univoche: c’è chi lo boccia e chi lo promuove. La controversia si concentra soprattutto sul personaggio della figlia, giudicato non abbastanza sviluppato e consistente da essere “l’altra parte” della conversazione con la madre, la protagonista. Tra quelli che non lo superano ci sono poi ad esempio Colazione da Tiffany, la trilogia del Signore degli Anelli, Uomini che odiano le donne, il primo Avengers. E ancora, tra i più recenti, bocciati anche Beau is Afraid, Super Mario Bros, Oppenheimer, The Fabelmans, House of Gucci. E i promossi? Passano il test a pieni voti Twilight, Thelma e Louise, Mad Max: Fury Road, Goodfellas, Frozen e Kill Bill, sia il primo che il secondo. Tra le nuove uscite Barbie, Triangle of Sadness, Top Gun: Maverick e la serie (sottovalutatissima) di film di Enola Holmes, su Netflix.

Le parole di Allison Bechdel

Cosa notiamo tra queste liste, a parte titoli attesi e sorprese? Che sono tutti diversi tra di loro. Si passa dall’autobiografico al fantastico, dal cinema di genere a quello di autore. Questo dovrebbe farci capire, a un primo sguardo superficiale, due cose: che il problema della rappresentazione delle donne è trasversale e che il Bechdel test non basta. Intervistata dal Guardian nel luglio del 2023, la sua creatrice in persona ha dichiarato: “È nato come uno scherzo. Non ho mai avuto l'intenzione che diventasse il vero indicatore che è diventato, ed è difficile continuare a parlarne ripetutamente, ma è abbastanza interessante. Quello che mi sconcerta, più del fatto che alcuni film continuano a non passarlo, è il modo in cui molte pellicole cercano cinicamente di prendere scorciatoie e presentano personaggi femminili forti, ma hanno solo una patina di forza e non sono ancora personaggi completamente sviluppati”.

Il Bechdel test non è abbastanza

In conclusione, purtroppo, bisogna riconoscere che il Bechdel test non è abbastanza. Applicare le 3 regole auree al cinema, infatti, può essere utile per avere uno sguardo d’insieme, superficiale e generale, della situazione in cui versa la settima arte in materia di rappresentazione femminile, ma il sistema può essere facilmente aggirato. Molti film che sulla carta sono promossi, in realtà non fanno nulla di più per portare nelle case degli spettatori personaggi forti, validi, ispirational, che rappresentano un passo avanti per tutte. Da consumatori, se siamo convinti di voler appoggiare solo produzioni di questo tipo, possiamo far sentire la nostra voce scegliendo che biglietti comprare e che film vedere in sala.