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La solidarietà femminile esiste

Dobbiamo solo impegnarci di più

La solidarietà femminile esiste Dobbiamo solo impegnarci di più

La madrina e Cenerentola (e anche Biancaneve, se è per questo), Cady Heron e Regina George, Coco Chanel ed Elsa Schiaparelli, Bette Davis e Joan Crawford, Eva Harrington e Margo Channing. Da sempre, la storia femminile si racconta per rivalità e catfight, dal cinema alla realtà. Quante volte abbiamo sentito dire che le donne sono le peggiori nemiche delle altre donne, o che la solidarietà femminile non esiste? Quante volte abbiamo sentito le nostre amiche, nonne, madri giudicare le loro amiche, conoscenti, nonne e madri? Sull’abbigliamento, sull’atteggiamento, sulle loro scelte di vita, su come educano i loro figli o trattano i loro compagni e mariti, su cosa fanno con i loro soldi o con il loro tempo libero. Sembra, secondo queste narrazioni, che tra le donne serpeggi sempre qualche tipo di profonda diffidenza e competizione, una gara a chi è più bella, più elegante, più femminile, più desiderabile senza esagerare, più moralmente corretta, più brava.

La solidarietà femminile parte dalla decostruzione

Il primo passo è guardare dentro di noi, prendere consapevolezza delle nostre modalità inconsce, dei comportamenti che portiamo avanti in tutti gli ambiti della nostra vita. Ci avete fatto caso? Anche sul lavoro, magari senza esserne pienamente consapevoli, scegliamo di metterci in competizione con le nostre colleghe, teniamo i segreti, facciamo gossip e capannelli, paragoniamo i vestiti e le borse, i guadagni e l’amore. Perché lo facciamo? Per abitudine, per educazione, per socializzazione. Per legare con gli altri, per odiare un nemico comune, o perché ci hanno insegnato a sfidarci e sminuirci a vicenda. Si tratta di meccanismi antichi, difficili da superare. Non sarebbe meglio, però, creare una comunità di donne pronte a sostenersi a vicenda contro le difficoltà intrinseche del genere femminile? Più facile a dirsi che a farsi.

Questa competizione tra donne chi aiuta?

Come fare? Un inizio potrebbe essere porsi questa domanda, solo apparentemente semplice: questa competizione tra donne, va a vantaggio di chi? La risposta è varia e variabile, ma potrebbe ricondursi a un’unica cosa: il patriarcato. Non è una questione di tirare sempre in ballo il sistema sociale imperante, quanto di comprenderne a fondo le ramificazioni, anche quelle profonde e invisibili. Se due donne si demoliscono a vicenda, lo fanno a favore del male gaze, dell’attenzione maschile o del potere che questa attenzione maschile può fornire, in tutti i contesti. Si tratta di un boomerang: un giorno ci troveremo da sole contro il potere - che è maschile - senza nessuna sorella ad appoggiarci, isolate e senza sostegno, viste come inferiori, disposable o pezzi di carne, come i casi di attualità dimostrano ogni giorno. Da qui il passaggio è breve. Bisogna fare rete ma bisogna anche crederci, celebrare il proprio essere donne, insieme.

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Girlhood e stereotipi

Le giovanissime sembrano averlo capito prima di noi. Sui social si riscopre una femminilità bambinesca e allegra, che si esprime senza paura e che cerca la comunità invece della superiorità morale e della diversità rispetto alle altre ragazze. Le cosiddette pick me girl vengono contestate, si grida a squarciagola: io sono come le altre ragazze, perché essere come le altre ragazze è bellissimo. Anche questa spinta, di origine bella e in buona fede, va problematizzata. C’è chi si chiede se fenomeni ironici come girl dinner e girl math non rischino di cadere nel pregiudizio, di metterci ancora una volta in dei recinti, di auto-limitarci. In un vortice di sfumature che, se non risolte sul momento vanno perlomeno sollevate, ci si chiede: questa performance di una femminilità nuova sfoggiata sui social, alla fine, non rischia di cadere nelle stesse trappole di quella vecchia?

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Le ragazze hanno bisogno di safe space

Anche per questo, come soluzione momentanea, le ragazze cercano spazi online ma privati, in cui non esistono alla mercé e al giudizio paternalistico di un pubblico potenzialmente infinito e molto più adulto di loro, ma creano comunità virtuali chiuse, tra ragazze, in cui essere loro stesse senza preoccuparsi degli sguardi altrui. Qualche esempio? Subreddit dedicati frequentati solo dalle teenagers. O ancora Girlhood, esperimento ben riuscito fondato da ragazze giovani (le diciassettenni Sophia Rundle e Mia Sugimoto) per ragazze giovani, una sorta di magazine che è anche un blog e un forum, uno spazio di espressione, consigli, chiacchiere. A questa esperienza è legato un discord. Un altro spazio in larga parte femminile, giovane e relativamente protetto è ad esempio quello dei siti di fanfiction, come Archive of Our Own o Wattpad. Questi siti, snobbati dagli intellettuali, si rivelano veri e propri terreni fertili per la socializzazione al femminile, anche tra lettrici e scrittrici. Nell’era dei social e della sovraesposizione del privato, proteggere questi ruoli virtuali ma privati e protetti è nostro dovere, per tutte le ragazze che verranno dopo di noi ma anche per curare la nostra teenager interiore. 

L'importanza di prendere spazio, insieme

Partendo da questi esempi, e imparando umilmente dalle ragazze, potremmo pensare di esportare questi safe space, farli diventare reali, strapparli ai meccanismi patriarcali e capitalisti che governano il mondo. Creare piccole comunità e momenti di condivisione con le nostre amiche, vicine di casa e colleghe, senza limiti di età o provenienza, costruiti sulle macerie della nostra decostruzione. La solidarietà femminile, proprio come il femminismo, esiste solo se intersezionale, cercata, voluta e costruita, senza gerarchie e senza capi. Insieme alla pari.