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Le tifoserie e il sessismo: il caso di Guadalupe Porras Ayuso

Cosa può fare il mondo del calcio per affrontare questo problema?

Le tifoserie e il sessismo: il caso di Guadalupe Porras Ayuso Cosa può fare il mondo del calcio per affrontare questo problema?
Il comunicato della curva della Lazio firmato Direttivo Diabolik Pluto

Durante una partita de LaLiga tra Betis di Siviglia e Athletic Bilbao, la guardalinee Guadalupe Porras Ayuso è rimasta ferita scontrandosi con una telecamera. Le immagini del suo volto insanguinato mentre veniva soccorsa a bordo campo (l'arbitro Cuadra Fernandez ha intimato al cameraman di allontanarsi, si trovava infatti troppo vicino al campo ed è per questo che è avvenuto lo scontro) hanno fatto il giro del mondo, finendo anche sulla pagina Instagram della Gazzetta dello Sport. Immediatamente, la sezione commenti si è riempita di insulti sessisti. Cosa ci faceva una donna lì? Il calcio è una roba da uomini. Dovrebbe tornare in cucina. I commenti sono stati talmente tanti che la stessa Gazzetta si è dissociata con un post pubblico, scrivendo: "Ci siamo impegnati a limitare gran parte dei commenti, inizialmente. Poi, la presa di coscienza che i pregiudizi legati alle donne che lavorano nel mondo del calcio fossero ancora presenti ci ha spinto a fermarci e riflettere su una reazione più ponderata. Perché per superare anche questo stigma sociale occorre dare un volto all’ignoranza, e una notizia - seppur triste - può aiutarci a educare la nostra community. All’interno della quale, ovviamente, non esiste spazio per il sessismo e per ogni altra forma di discriminazione".

Il trolling misogino sui social

Qualsiasi donna che abbia aperto i social network lo sa: questo tipo di commenti misogini sono all'ordine del giorno, e il problema non sussiste solo su Instagram ma anche su Twitter e su Facebook. Intere orde di utenti uomini - e non si tratta solo di boomer ma anche di ragazzi giovani, che secondo le ricerche sono sempre più lontani dalle ragazze coetanee e dal femminismo - spesso si danno manforte, passando dai pregiudizi più basic (la menzione alla cucina e ai figli, in generale alla sfera casalinga) allo slutshaming e al fatshaming. Fanno numero, fanno paura, fanno rabbia: lo fanno per sentirsi forti, per non farci sentire al sicuro, per stabilire il loro territorio. Fanno rage bait, ma non per questo non sono sinceri: protetti dalla distanza che solo i social sanno dare e dagli utenti loro amici, sfogano i loro istinti peggiori, e noi non possiamo fare altro che leggere, impotenti, perché a rispondere si fa il loro gioco, o almeno questo è quello che si dice dei troll. E allora cosa si fa?

Un problema specifico delle tifoserie 

È inutile nascondersi dietro un dito. Se i commenti misogini sono purtroppo la normalità, aumentano esponenzialmente quando ci troviamo in spazi a maggioranza maschile, o che sono tradizionalmente legati agli uomini. Lo sport è uno di questi, il calcio lo è ancora di più. Senza andare troppo lontano, basta scorrere un po' la pagina Instagram della Gazzetta, aprire la sezione commenti sotto ogni post che parli di una sportiva invece che di uno sportivo e leggere qua e là. Qualsiasi donna si avvicini a questo campo viene oggettificata, demolita, derisa, sminuita, trattata con particolare severità se non direttamente insultata. Anche le utenti che seguono il calcio e commentano come tutti gli altri vengono attaccate solo in quanto donne, perché non possono capire, perché tanto stanno fingendo per portarsi a letto qualcuno, perché sono pick me girl. Nel 2018, la curva della Lazio ha fatto sapere tramite comunicato firmato Direttivo Diabolik Pluto di non volere donne nelle prime file, perché la curva è "luogo sacro, con un codice non scritto da rispettare", ignorando completamente (anzi non considerando neanche la possibilità) che potessero esserci delle ultras desiderose di partecipare per motivi non legati agli uomini.

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Il comunicato della curva della Lazio firmato Direttivo Diabolik Pluto

Il calcio maschile e il calcio femminile

Questo problema va oltre i social. I comportamenti machisti di alcuni tifosi e di alcuni ultras alimentano una cultura maschilista, escludente, patriarcale basata sugli slogan violenti e sui comportamenti aggressivi, che non può che riversarsi anche sulle donne e sulla parte femminile del gioco calcio, che nel migliore dei casi viene ignorato, nel peggiore - ancora una volta - insultato. Ogni volta, ad esempio, che la nazionale femminile è in campo - si qualifica ai mondiali quando gli uomini non riescono o in generale raggiunge un traguardo - gli autoproclamati veri tifosi escono dal sottobosco, pronti ad attaccare l'intero sport solo perché giocato dalle donne. Chiedersi perché - se amano così tanto una disciplina - non ne rispettano anche la controparte femminile è inutile: questi comportamenti meschini non si basano su cose razionali ma su sistemi di potere vecchi e affermati, che si autoalimentano in un loop difficile da spezzare. 

Sessismo nelle tifoserie: cosa fare?

Il post della Gazzetta dello Sport è un buon inizio, così come lo è parlarne. Fare sentire queste persone non appoggiate dalla stessa pubblicazione di cui commentano un post, potrebbe essere utile a fargli passare la voglia di rendersi ridicoli in pubblico. La mentalità del branco se sottrai il branco finisce per perdere di convinzione. Non è abbastanza. Dovrebbero essere gli stessi tifosi, dal di dentro, a riprendere i loro "colleghi", a escludere chi si rende fautore di comportamenti escludenti, chi lancia slur misogini in giro come fossero acqua fresca, a isolarli. Dovrebbe essere un certo tipo di tifo stesso a cambiare, a farsi più partecipato e meno aggressivo, più inclusivo, e i tifosi a farsi bandiera di queste nuove modalità, senza aver paura di essere esclusi o ridicolizzati. Magari i club potrebbero aiutare, proponendo campagne di sensibilizzazione al tema e parlando ai propri sostenitori. I brand ci hanno pensato: puntano all'inclusione campagne firmate Heineken, e progetti portati avanti da Gillette e FIGC. Anche i calciatori sembrano avvicinarsi alla causa: quando il presidente della Federcalcio spagnola Luis Rubiales ha baciato sulla bocca la giocatrice Jenni Heromoso senza consenso, i giocatori del Siviglia hanno dimostrato di appoggiare il movimento di protesta portandolo sulle magliette. Adesso tocca ai tifosi. Sono discorsi complessi, inscindibili da quelli sul maschilismo e sul patriarcato ma non per questo dovremmo smettere di provare ad averli. Una cosa alla volta.