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No, un influencer non deve per forza esprimersi sulla politica internazionale

E non dovremmo neanche chiederglielo

No, un influencer non deve per forza esprimersi sulla politica internazionale E non dovremmo neanche chiederglielo

Gli avvenimenti del 7 ottobre hanno portato a galla, più forte che mai, una tendenza già registrata in precedenza. Una tendenza ambigua, che provoca domande e riflessioni sul modo in cui intendiamo la fama, su come influiscono il prestigio e il numero di follower sulla nostra opinione e su come funzioni, nel 2023, l’opinione pubblica. Prima fu Chiara Ferragni, accusata di starsi divertendo in vacanza in Sicilia mentre l’isola andava a fuoco. In quel caso, la causa era importante e immediatamente condivisibile da tutti: il cambiamento climatico. Nonostante tutto, Chiara Ferragni era la persona sbagliata a cui chiedere.

Tutti devono intervenire su tutto

Dopo vennero i thread su X di celebrità che si sono schierate con la Palestina o con Israele, portati avanti da utenti con il non troppo velato intento di denunciare o glorificare qualcuno. Nei commenti, una pioggia di giudizi. Da questo ce lo aspettavamo, da quest’altro proprio no, che delusione, lo terrò a mente quando dovrò decidere cosa guardare e cosa comprare eccetera eccetera. In un clima internazionalmente molto teso, in cui è impossibile non farsi influenzare da ciò che vediamo sui social e farsi qualche domanda, magari anche esprimendo un’opinione personale, sembra inconcepibile che una persona considerata famosa (non importa perché: dagli sportivi agli influencer passando per popstar, attori, creator, presentatori: tutti sono caldamente invitati dai loro follower a dire qualcosa, e in fretta) non dica qualcosa su tutto quello che sta succedendo nel mondo, o meglio dall’ultimo argomento che ha infiammato gli animi. 

I danni del pretendere prese di posizione

Come ci si porta e comporta sui propri profili social è una scelta personale, che nel caso di personalità e aziende è dettata anche da esigenze di target e di branding. Se qualcuno decide di schierarsi chiaramente, magari in maniera contraria a quella dei propri rappresentanti al governo, la scelta dovrebbe essere sua e solo sua, e per questo non è oggetto di questo articolo, che esiste a prescindere dalle opinioni personali di chi lo scrive e di chi lo leggerà. Quello che colpisce, qui, è l’atteggiamento del pubblico, l’insistenza di coloro che pretendono post pensati e ragionati su questioni estremamente complesse da pressoché chiunque, anche a rischio di confondere le acque, di esprimere pensieri superficiali e inutili: purché se ne parli. Un esempio dei danni che può provare questo atteggiamento è quello di Jamie Lee Curtis, che per condannare le atrocità commesse da uno degli schieramenti ha condiviso una foto in cui erano ritratte le vittime della parte sbagliata, la stessa che veniva condannata. Una cosa simile ha fatto Justin Bieber, ripostando un’immagine delle macerie provocate proprio dalla parte che voleva sostenere. I post sono stati poi rimossi, appelli più generici sono stati riformulati, nessuna spiegazione o rettifica è stata fornita. Chi ci ha creduto ci ha creduto, chi lo sapeva lo sapeva. E basta. Foto confuse, nessuna verifica delle fonti, il diritto a esistere dei popoli ridotto a tifoseria. 

Non tutti devono dire qualcosa

Decidere chi sostenere, seguire, appoggiare, andare a vedere a teatro, al cinema o in uno stadio a seconda delle loro opinioni personali è lecito. Chiedere in ginocchio a queste persone di dire qualcosa un po’ meno. Che contributo, infatti, potrebbe dare una cantante? E soprattutto: perché abbiamo bisogno che lo dia? Sembra quasi che, negli occhi del grande pubblico, la fama di qualsiasi tipo imponga sulle teste di chi la porta una forma di doppia responsabilità: quella di parlare di tutto e quella di far contenti tutti, legittimando chi è d’accordo e delegittimando chi non è d’accordo. Con autorevolezza, per di più. La verità, a rischio di suonare antidemocratici, è che non tutti possono parlare di tutto, non tutti possono (e devono) avere qualcosa da offrire su questioni che vanno avanti da decenni e non tutti possono manovrare l’opinione pubblica a loro piacimento o convincere gli indecisi, soprattutto se hanno qualche tipo di fama, e dunque di responsabilità nei confronti del loro pubblico. Ed è giusto così. 

Cambiare il focus

Il potere degli influencer e di chiunque abbia un seguito non è in dubbio. Anzi, dovrebbe essere arginato, riportato ai suoi ambiti di influenza sacrosanti: gli acquisti, i trend, i contenuti da guardare oppure no. Anche loro dovrebbero autoregolarsi, imparare a capire cosa va buttato nel flusso delle stories del giorno e cosa, magari, merita una riflessione privata, una condivisione di fonti affidabili invece del solito pensierino nero su bianco. Nel mondo dei social network, delle fake news, dell’intelligenza artificiale che ci confonde le idee, le nostre boe di informazione e lucidità non dovrebbero essere i personaggi famosi, ma le fonti che noi, con la nostra personale capacità critica, abbiamo deciso essere valide e condivisibili, i valori ragionati, l'attivismo e la partecipazione reale, a prescindere dalle infografiche che riusciamo a condividere su Instagram. E se abbiamo delle energie battagliere da rivolgere a qualcuno per spingerlo a decidere, prendere una posizione o firmare un appello, tanto meglio. È segno di una buona coscienza collettiva, è un impeto costruttivo e sacrosanto. Forse, però, dovremmo dirigerla verso i nostri rappresentanti al governo, coloro che abbiamo votato esattamente per questo, e non sulle persone famose, che siano sui social o meno.