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La storia della seconda ondata femminista

Dal dopoguerra agli anni Ottanta

La storia della seconda ondata femminista Dal dopoguerra agli anni Ottanta

Nella prima ondata femminista si rivendicava l’uguaglianza de iure, ovvero ci si batteva per vedersi riconosciuti i diritti di cui gli uomini già godevano: il diritto di voto, la partecipazione politica, un ruolo attivo nel mondo del lavoro, il riconoscimento di essere persone prima che mogli o madri. Nell’immediato dopoguerra, che segue la caduta del fascismo, i reduci chiedevano che le donne fossero escluse dagli impieghi pubblici e privati, ma le femministe continuarono a lottare per ottenere la parità formale nel mercato del lavoro. Gli anni Cinquanta sono stati un periodo di passaggio e di stallo; vigevano ancora molte delle norme del Codice Rocco. In Italia la vera ripresa economica e sociale avviene negli anni Sessanta, influenzata dagli avvenimenti negli Stati Uniti. Il baby boom, la diffusione dei mezzi di comunicazione di massa e, sì, anche il ritorno tradizionale alla vita familiare sono tutte premesse della seconda ondata femminista

 

Tra media e realtà

Nonostante l’uguaglianza rivendicata dal liberalismo fosse stata raggiunta, rimanevano ancora importanti problemi, quelli che possiamo chiamare de facto. Il lavoro domestico e la cura della prole erano ancora totalmente a carico delle donne, le quali si trovavano a compiere un doppio lavoro (il lavoro di cura privato e quello nella sfera pubblica). Nelle immagini pubblicitarie di quegli anni si presentavano, principalmente, due figure femminili: la donna di casa, circondata da nuovi elettrodomestici, al servizio del marito; la donna moderna, la pin-up affrancata, ma sempre condizionata dallo sguardo maschile. 

La dicotomia tra vita reale e rappresentazione mediatica è stata notata nel 1959 da Gabriella Parca che, a partire da 300 lettere ricevute da donne di tutta Italia, ha scritto Le italiane si confessano (da cui poi è stato tratto il docufilm Le italiane e l’amore). Il libro evidenziava lo sfasamento tra la condizione di sofferenza e ignoranza di molte donne nel privato (ad esempio per le prime esperienze sessuali) e l’avanzamento della società italiana verso la modernità. Parca denunciava anche le prevaricazioni, gli abusi e i pregiudizi che le donne italiane stavano subendo all’interno delle mura domestiche. Da un contesto simile viene anche La mistica della femminilità (1963) di Betty Friedan, che distingue la vita reale delle donne (bianche, eh) dalle raffigurazioni edulcorate mainstream nei media. Friedan ha analizzato quello che nel libro chiama the problem that has no name (il problema senza nome, inespresso), che rendeva le donne molto più depresse e predisposte all’uso di alcol e psicofarmaci. Uno spaccato di questo tipo di società si può vedere bene nella serie-tv The Queen’s Gambit, in particolare nei personaggi della madre adottiva di Beth e della sua ex compagna di liceo. Per risalire alla causa inespressa, Friedan conduce un’indagine intervistando ex compagne dello Smith College e casalinghe. Il problema risulta essere proprio la mistica della femminilità, ovvero un inganno (che Friedan definisce come un progetto di persuasione e condizionamento) che porta le donne a rimanere chiuse nei ruoli di mogli e madri nella vita domestica, senza intraprendere una carriera professionale. Negli Stati Uniti degli anni Sessanta: la donna media si sposava a vent’anni, una banca poteva rifiutarsi di emetterle una carta di credito se non aveva la firma del marito e, se un’impiegata rimaneva incinta, era perfettamente legale licenziarla. Il femminismo di seconda ondata così si intreccia con le rivolte studentesche e con il movimento nero per i diritti civili, spinto dal grandissimo successo del libro di Friedan. Le donne chiedevano diritti, rispetto e, semplicemente, di smetterla di essere viste come contenitori per la gravidanza e pezzi di carne.

Nel clima rivoluzionario del 1968 alcune femministe statunitensi protestano contro il concorso di Miss America e installano i freedom trash cans (contenitori per la spazzatura per strada), in cui buttano gli “strumenti di tortura femminile”: tacchi alti, trucchi, parrucche, riviste di Playboy e di Cosmopolitan, e sì, anche reggiseni, però, no, non li bruciano, anche se il mito circola ancora oggi. Nel Regno Unito nel 1970 si interrompe il concorso di Miss Mondo urlando noi non siamo belle, non siamo brutte, siamo arrabbiate! 

 

Il pensiero della differenza: le basi

Le rappresentazioni mediatiche del femminile ribadivano un concetto di inferiorità, pubblicizzato in tutte le forme e con tutti i mezzi, creando una tensione di fondo nel rapporto con gli uomini. In questo contesto le donne iniziano un processo di radicalizzazione, attraverso la formulazione di un discorso non più centrato sull’uguaglianza, ma sulla differenza. Significa che si passa da “voglio essere trattata come un uomo” a “voglio avere gli stessi diritti, ma voglio anche che siano riconosciute le mie differenze in quanto donna”. Non è un passaggio leggero, tutt’altro, infatti inaugura il pensiero della differenza sessuale. Le prime analisi sulla differenza, che fondano le rivendicazioni di questa ondata, si ritrovano in due testi fondamentali: Le tre ghinee di Virginia Woolf e Il secondo sesso di Simone de Beauvoir

Le tre ghinee è un saggio contro la guerra (pubblicato nel 1938 appena prima dello scoppio della seconda guerra mondiale) che parte dall’esperienza di Woolf in quanto donna, ovvero marginalizzata e socialmente inferiore. La donna, essendo altro rispetto all’uomo, deve riappropriarsi delle differenze e trasformarle in un vantaggio. Non si parla di uguaglianza, bensì di alterità paritetica. Invece, ne Il secondo sesso (1949), Simone de Beauvoir analizza la condizione subordinata della donna che è considerata, appunto, il secondo sesso. Il maschile al contrario è sempre stato visto come lo standard, l’origine del linguaggio e il punto di vista “neutro” da cui si guarda il mondo. De Beauvoir così inizia a indagare e decostruire le caratteristiche “biologiche” che la società ha storicamente legato al femminile. Femminile che quindi deve accettare la differenza, ma non la subordinazione. È in questo libro che si trova la famosa frase donna non si nasce ma si diventa. Il testo era così rivoluzionario che nel 1956 è stato inserito dal Vaticano nell’Indice dei libri proibiti. Infatti si trattavano temi “spinosi” per l’epoca, come la libertà sessuale, il piacere e il diritto all’aborto

Il pensiero della differenza sarà poi articolato, soprattutto nella dimensione linguistica, dalla teoria francese di Luce Irigaray, Hélène Cixous e Julia Kristeva, che seguiva il pensiero decostruzionista del filosofo Jacques Derrida. Nella sua accezione più semplice la teoria della differenza sessuale andava a far leva su un concetto che forse oggi è ritenuto, ingiustamente, banale: le donne sono discriminate proprio perché donne. Il sesso (ora possiamo dire anche il genere) è una categoria di oppressione

Su questo tema il 10 luglio 1971 Gloria Steinem, considerata la voce più influente del femminismo di questa ondata, ha tenuto un discorso alla fondazione del National Women’s Political Caucus (NWPC, tra l’altro fondato anche con Betty Friedan). Address to the Women of America, è ricordato come uno dei più grandi discorsi del XX secolo. Steinem parla di una rivoluzione che porterà a un vero umanesimo, solo nel momento in cui si abbandoneranno le categorie di “sesso” e “razza”. Queste infatti, «essendo differenze semplici e visibili, sono stati i modi principali di organizzare gli esseri umani in gruppi superiori e inferiori». All’inizio del video della canzone Ain’t Your Mama (2016) di Jennifer Lopez si può sentire proprio un estratto del discorso. 

L’utero è mio e lo gestisco io 

Spesso proprio a Gloria Steinem viene attribuita la frase If men could get pregnant, abortion would be a sacrament (se gli uomini potessero rimanere “incinti”, l’aborto sarebbe un sacramento). Alcuni la attribuiscono a Florynce Kennedy, altri a Germaine Greer; l’ipotesi più probabile è che la frase sia stata pronunciata da un’anziana taxista irlandese. In ogni caso tra i temi più trattati dal movimento femminista c’era sicuramente il diritto all’aborto e alla contraccezione, seguiti dalla rivendicazione a una liberazione sessuale e dall’analisi dei ruoli di genere.

La pillola anticoncezionale viene resa disponibile negli Stati Uniti nel 1961. In Italia, invece, è stata autorizzata sei anni dopo, ma solo per fini terapeutici (per esempio per regolarizzare il ciclo mestruale). Il Ministero della Sanità abrogò le norme che ne vietavano la vendita solo nel 1976. Per quanto riguarda l’aborto, in Italia è stato legalizzato il 22 maggio 1978 con la legge 194, e poi confermato dal referendum del 1981. La battaglia per ottenere il diritto a interrompere la gravidanza è stata di fondamentale importanza per l’autodeterminazione femminile. 

In Francia, in particolare, ha suscitato un grande scalpore il Manifesto delle 343, pubblicato nel 1971 sulla rivista Nouvel Observateur e scritto da Simone de Beauvoir. Si trattava di una presa di posizione molto forte: 343 donne, infatti, ammettevano pubblicamente di aver avuto un aborto (e in Francia, dagli anni Venti, chi abortiva o procurava un aborto veniva punit* con pene fino a sei anni). Tra le firmatarie c’era, oltre alla stessa de Beauvoir, anche Monique Wittig, grande teorica e scrittrice femminista, e l’attrice Catherine Deneuve. La stessa iniziativa è stata riproposta in Germania con Wir haben abgetrieben! (ovvero “Abbiamo abortito!”). Il concetto di maternità passava così da essere un dovere morale, fondato su una sorta di destino biologico, a una pura scelta della donna. Le femministe, radicali e liberali insieme, sul finire degli anni Sessanta, mosse anche dai movimenti studenteschi del ‘68, hanno riformulato il discorso sul matrimonio e la maternità, rivendicando il diritto a una sessualità svincolata dal fine della procreazione e libera dai pregiudizi di matrice cristiana. Sempre in questi anni sono nati i primi gruppi di supporto e più associazioni coscientemente femministe, tra le italiane si deve ricordare senza dubbio il lavoro svolto da Emma Bonino, Adele Faccio e Maria Adelaide Aglietta nel CISA, il Centro Informazione Sterilizzazione e Aborto. 

 

Il personale è politico

La riappropriazione dei corpi da parte delle donne è passata soprattutto dai gruppi di autocoscienza, dai consultori femministi e dai corsi di self-help della fine degli anni Sessanta. Erano tutte realtà che cercavano di svincolare le donne dal potere falloscientifico, cioè da una medicina di Stato paternalistica e incentrata sui bisogni dell’uomo. In sostanza, nei gruppi di autocoscienza le donne si incontravano per parlare dei propri problemi e per conoscersi (anche da un punto di vista anatomico, con una particolare attenzione per la clitoride). La condivisione delle storie personali permetteva a ognuna di riconoscersi nelle esperienze delle altre, e di mettere in discussione tutto il contesto sociale, ma anche politico e culturale, in cui erano inserite e di cui subivano le oppressioni. Il termine autocoscienza è stato introdotto da Carla Lonzi, fondatrice del gruppo Rivolta Femminile e della casa editrice Scritti di Rivolta Femminile, con cui nel 1970 pubblica per la prima volta Sputiamo su Hegel, e poi l’anno seguente La donna clitoridea e la donna vaginale

L’autocoscienza è un processo collettivo ed individuale, che parte da ognuna, si esplica nel collettivo con il sostegno di tutte e torna all’individua (sì, al femminile). Il collegamento tra collettività e persona singola diventa il presupposto fondamentale per il famoso slogan coniato dalla femminista radicale Carol Hanisch nel 1970: il personale è politico. Con i gruppi di autocoscienza le donne comprendono che i propri vissuti personali, sempre considerati “privati”, in realtà affondano le radici nel pubblico. Questo significa che se una donna subisce discriminazioni o situazioni di sofferenza, non è un caso isolato, ma si tratta di una violenza sistemica e di conseguenza politica. Le strutture del contesto sociale, patriarcale e misogino, si ripercuotono sulla vita privata di ogni donna. 

È così che si crea una grande coscienza femminista che, spoiler, durerà poco. A partire dagli anni Ottanta il dibattito sulla sessualità sarà approfondito dalle femministe, confrontandosi su lavoro sessuale e pornografia. Su questi temi il movimento femminista inizia a spaccarsi, e questo momento viene ricordato come la sex war

 

Per approfondire:

  • il documentario She’s Beautiful When She’s Angry (2014) e la puntata 7 di History 101 - Feminism (Netflix);
  • il film Sex and the Single Girl (1964) ispirato all’omonimo libro di Helen Gurley Brown;
  • le serie-tv The Marvelous Mrs. Maisel e Good Girls Revolt su Prime Video;
  • libri: Dalla parte delle bambine di Elena Gianini Belotti; Paura di volare di Erica Jong.