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Rossetto rosso: storia e curiosità sul questo makeup storico

Dal suo nome nell’antica Roma al suo ruolo nel movimento femminista

Rossetto rosso: storia e curiosità sul questo makeup storico Dal suo nome nell’antica Roma al suo ruolo nel movimento femminista

Nonne, mamme, figlie. C’è un sottile velo di rossetto rosso che lega ogni generazione di donne da secoli. Cleopatra, Elisabetta I e Marilyn Monroe lo adoravano, come anche schiere di donne (uomini e non-binary) che ancora oggi lo considerano un beauty essential. Nessuno come lui ha saputo scatenare amore e odio, passando continuamente da periodi nei quali veniva usato come sinonimo di prestigio sociale ad altri nei quali chi osava sfoggiarlo era una reietta, una persona di dubbia morale o, addirittura, come si credeva nel medioevo una figlia del demonio. La storia del rossetto rosso è lunga e travagliata, ma ogni suo step ha contribuito a trasformarlo in quello che rappresenta ancora oggi: non solo un segreto di bellezza capace di illuminare con un solo gesto l’incarnato, ma un vero e proprio simbolo di emancipazione, un’iniezione di self-confidence e coraggio che ci aiuta a superare le difficoltà. Non è un caso che nei momenti di crisi economica le sue vendite aumentino né che Coco Chanel fosse solita dire: "Se siete tristi, se avete un problema sentimentale, truccatevi, mettetevi il rossetto rosso sulle labbra e attaccate!".

Ecco 5 cose da sapere sulla storia del rossetto rosso.

 

È nato molti secoli fa

Nel corso dei secoli, il rossetto rosso è stato sinonimo di fascino, potere e seduzione. Da quando intorno al 2.500 a.C la regina sumera Pu-Abi, sovrana della città di Ur, ha iniziato a ravvivare le labbra con una miscela di polvere a base di rocce rosse e piombo bianco che conservava all’interno di gusci di piccoli animali nessuno a più saputo resistere al fascino audace di questo cosmetico. Ai tempi dei sumeri indicava prestigio sociale, come per gli antichi egizi, dove era indossato da re e regine. Pare che Cleopatra lo usasse per completare il make-up, abbinando gli occhi bistrati di nero a labbra colorate nei toni dell’arancio, del magenta e del blu-nero grazie a una mistura di scarabei camini, squame di pesce e cera d’api che spalmava con l’aiuto di un bastoncino umido. Anche nell’Impero Romano, dove il rossetto veniva chiamato purpurissum, tingere le labbra era un gesto genderless, un classificatore di status che distingueva funzionari di alto rango e imperatori. Tra i più grandi fan dell’audace cosmetico c’era Poppea, moglie di Nerone. Si dice che avesse un intero team di assistenti addetto alla cura delle sue labbra, sempre perfettamente tinte con ocra, minerali di ferro, quercia marina, gelsi, limone, petali di rosa e residui di vino. Decisamente più sgradevole era il mix di sudore di pecora, saliva umana ed escrementi di coccodrillo che le prostitute greche erano costrette a usare come pigmenti per identificare in pubblico la loro professione.

 

Rosso come il Diavolo

Appariscente e vistoso, il rossetto rosso è stato spesso guardato con un certo sospetto. Il periodo più buio lo ha vissuto nel Medioevo durante il quale era associato ad una femminilità misteriosa, spaventosa, quasi demoniaca. Si sa, il rosso è il colore del Diavolo e per questo la chiesa era pronta a condannare chiunque osasse indossarlo. La pena? Venire considerate una reincarnazione di Satana e costrette a pentirsi per essersi fatte traviare dal peccaminoso cosmetico. Per evitare problemi e venire considerate pure e pie, le donne dovevano limitarsi a sfumature più soft come il rosa tenue, mentre le privilegiate potevano spingersi un po’ oltre con il rosa acceso. La riabilitazione sociale del rossetto rosso arriva con la regina Elisabetta I d’Inghilterra, che lo sfoggiava orgogliosamente in pubblico e in privato. Amava a tal punto quel mix di cocciniglia, bianco d’uovo e succo di fico da attribuirgli dei poteri magici. Il periodo felice del red lipstick dura poco e, quando lo scettro passa nelle mani della puritana regina Vittoria, il prodotto beauty viene bollato come volgare ed irrispettoso, un cosmetico da cui tenersi ben lontani. Ancora di più attorno al 1770 quando il parlamento inglese propone una nuova legge: qualunque donna avesse adescato gentiluomini inglesi con il rossetto rosso sulle labbra sarebbe stata punita per stregoneria. 

 

Elizabeth Arden, le suffragette e l’emancipazione femminile

Sono state le attrici d’inizio del secolo come Sarah Bernhardt a riportare in auge il rossetto rosso, ma è stata Elizabeth Arden a regalargli potere politico, elevandolo a simbolo di ribellione e female empowerment. Nel 1912 la fondatrice di uno dei marchi cosmetici più importanti al mondo scese per le strade di New York e, distribuendo rossetti, si unì alle suffragette che marciavano per i propri diritti. In America e in Inghilterra, leader dei movimenti femministi come Elizabeth Cady Stanton e Charlotte Perkins Gilman iniziarono a sfoggiare labbra vermiglio con l’intento di intimorire gli uomini, di manifestare una sorta di liberazione fisica dalla costrizione dei corsetti e dal giudizio maschile. Da allora, il red lipstick è specchio di una femminilità resiliente.

 

Il red lipstick come statement antifascista

Il rossetto rosso era una delle cose più odiate da Adolf Hitler. Per il führer era decisamente troppo libertino e sexy. Per il dittatore la purezza della razza ariana significava un volto naturale, senza trucco. Così, le donne dei paesi alleati iniziarono a indossarlo come segno di ribellione a nazismo e fascismo. Il suo senso patriottico era tale che quando il suo il costo diventava proibitivo le donne si tingevano le labbra con il succo di barbabietola. Nel 1941 e per tutta la durata della seconda guerra mondiale, il rossetto rosso divenne obbligatorio per le donne che si arruolavano nell’esercito americano. In quel periodo Helena Rubinstein creò il Regimental Red, il marchio britannico Cyclax introdusse la sua tonalità Auxiliary Red e Elizabeth Arden lanciò sul mercato Victory Red. Arden ricevette dal governo americano l’incarico di creare un rossetto e uno smalto per le donne che prestavano servizio nel Corpo dei Marines e creò la sfumatura Montezuma Red che riprendeva i profili rossi delle loro uniformi. Il nome era riferimento all’inno dei Marines in cui promettevano di combattere per il loro paese ovunque, "dai palazzi di Montezuma alla costa di Tripoli". Dopo che, il 15 aprile 1945, le truppe britanniche liberarono il campo di concentramento di Bergen-Belsen, la Croce Rossa britannica inviò scatole di rossetto rosso. Un piccolo gesto per aiutare le donne a riprendersi, a tornare alla normalità e restituire loro individualità e dignità.

 

Fiero e ribelle per sempre

Dalla fine della Guerra la storia del rossetto rosso è sempre stata in continua ascesa grazie a dive come Marilyn Monroe, Betty Page, Liz Taylor che non potevano farne a meno. Lo stesso vale per politiche come la "Lady di ferro" Margaret Thatcher, Alexandria Ocasio-Cortez o l’attivista Marlén Chow che è scesa in piazza contro la dittatura del Nicaragua e ha affrontato gli interrogatori dell’esercito con le labbra vermiglio, ispirando uomini e donne del suo paese a protestare per il rilascio di tutti i manifestanti antigovernativi incarcerati ingiustamente indossando il rossetto rosso al grido dell'hashtag virale #SoyPicoRojo. Oggi il cosmetico più audace di sempre continua a essere simbolo di fierezza, ribellione ed emancipazione non solo delle donne, ma della comunità LGBTQIA+ e di ogni essere umano che vuole affermare la propria identità. 

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