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Essere Mariacarla Boscono

Intervista alla modella poliedrica che si interpreta ogni giorno

Essere Mariacarla Boscono Intervista alla modella poliedrica che si interpreta ogni giorno

"Le modelle come me, sono modelle che hanno il cosiddetto fattore personality più che il fattore beauty". Così, sotto le luci soffuse del Ronin all'evento lancio della collezione K-Way by Mariacarla Boscono, ha inizio la nostra conversazione intensa, sentita e aspirazionale con la modella di fama globale. In occasione del lancio della sua seconda capsule collection per il brand, ispirata a un paradiso invernale in cui liberare i sensi e essere se stessi, Mariacarla Boscono ha accettato di dirci qualcosa di più sul suo processo creativo. Raccontando di dettagli tra moodboard e difficoltà, è emersa la sua personalità camaleontica, emotiva ed empatica, che parla con profondo trasporto del suo passato, della sua relazione con le donne della sua vita e con il conformismo dilagante della società attuale.

Attiva dal 1996, mamma e donna senza limiti, Mariacarla si è raccontata a tutto tondo in questa intervista, da leggere per scoprire qualcosa di più sulla una figura che sceglie con cura quando e cosa dire, ma soprattutto come dirlo.

Quanto conta la personalità nel tuo lavoro?

La personalità per me conta moltissimo: Naomi e Kristen Mcmenamy ad esempio non si prendono mai sul serio, sono funny, e per me è fondamentale soprattutto per chi fa questo lavoro. Per tantissimi anni quando qualcuno mi riconosceva rimaneva stupito di quanto fossi simpatica. Questo perchè ho creato intorno a me un'aura di distacco, che comunque riesce a cadere nel momento dell'interazione. Penso sia bellissimo che un personaggio, almeno per me, non sia palpabile: oggi siamo bombardati 24 ore su 24 da volti di icone e celebrities e quando li vediamo al cinema o sulle passerelle diventano meno credibili. Chi mi guarda dall'esterno ha una concezione di me che non esiste, che rende per me "interpretare mariacarla" ancora più interessante che "essere Mariacarla". Parlo poco, faccio poche cose che seleziono a seconda di quello che per me ha senso fare, ed è questo che le rende speciali, come la collaborazione con K-Way.

Cosa ti ha spinta a collaborare con K-Way?

Chi non è nato con la mamma che ti allaccia il K-Way? Il brand mi ha colpito, lo indossavo da bambina e mia mamma lo acquistava per me e io lo acquisto ora per mia figlia. Il gesto dell'allacciare la giacca antivento è un rituale che vive d'amore materno. Disegnare la collezione è stata un'ulteriore challenge per interpretare Mariacarla anche nella veste di designer.

Disegnando un anti-vento lontano dalla concezione dello ski-wear sono riuscita ad esprimere la mia voglia di liberare le donne dalle occasioni d'uso e dalle etichette: con la tuta da sci puoi e devi andare a sciare, ma allo stesso tempo puoi scegliere di essere la donna che vuoi: personalmente mi vedo indossare la tuta passeggiando sui tacchi per la 5th avenue, andare da Balthazar a fare brunch e sfilarmela all'ingresso rivelando un outfit da paura. Quello che mi ispira di più in assoluto è come mettere insieme le diverse tipologie di donna, e nella scelta del colore ho incanalato questo desiderio optando per una shade che si sposasse con tutte le carnagioni, un tono neutro che da la possibilità di colorare la ski suit a chi la indossa, non il contrario.

Raccontaci qualcosa del tuo processo creativo nel disegnare la collezione.

Il processo creativo è stato complicatissimo. Partendo dal fatto che non sono una designer e che vivo di immagini selezionate da un contatto diretto con l'ambiente che mi circonda, le restrizioni pandemiche mi hanno impedito di andare in fabbrica e toccare con mano i tessuti e seguire il processo da vicino. Fortunatamente ho reference sparse nella  testa da tutto il mondo, so disegnare, faccio moodboard da quando sono piccola, tanto da aver tramandato questa passione anche a mia figlia. Baso la mia realtà creativa sulla selezione di idee. Per la collezione ho fatto centinaia di moodboard a modo mio, stampando immagini e idee su carta e mettendole in fila per terra, come si faceva una volta. Poi ho poi condiviso il tutto con la K-Way family, che ha capito cosa volevo creare, e non è scontato.

Ci sono state persone della tua vita che ti hanno ispirato?

Le donne che fanno parte della mia vita sono state un fondamentale punto di partenza: mia mamma, che mi ha portato in Africa, in America, chic nel suo dover essere una donna di casa e non una privilegiata, ma sempre elegante, che indossava in casa un kimono, con le unghie laccate di rosso ed i bigodini sulla testa, perchè poi alle 18 avrebbe bevuto un drink con mio padre. Lei era una contraddizione che aveva sempre senso, ed è questo che mi affascina nella moda e che ho cercato di infondere nella collab con K-Way: non tutto deve avere per forza senso, ma dipende come si interpreta un capo. L’unica regola da avere nel rapporto con la moda è non avere regole.
 
Il fashion non dovrebbe essere standardizzato, e da quando lavoro, il 1996, ho visto tante persone essere e vestirsi uguali, omologandosi, quando ancora non era ancora stato passato il messaggio che non dobbiamo per forza essere tutti uguali. Fortunatamente chi ha voglia di parlare e spiegare e aprire gli occhi a chi non conosce può cambiare le cose.
 

Un'ultima domanda, per sdrammatizzare: in montagna sei più tipa da baita o da sci estremo?

 
In montagna, sono una tipa da panorama, però ho fatto tutto, piste nere e acrobazie, ma la montagna ha un panorama da paura, basta stare al caldo.