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Reformation, il brand che voleva essere "Zara, ma con un'anima"

Il colosso green fondato da Yael Aflalo dovrà ricominciare dopo le accuse sulla mancanza di diversity

Reformation, il brand che voleva essere Zara, ma con un'anima Il colosso green fondato da Yael Aflalo dovrà ricominciare dopo le accuse sulla mancanza di diversity

Da quando Greta Thunberg ha portato al centro del dibattito la questione della sostenibilità ambientale e del cambiamento climatico, ogni tipo di azienda, label e industria sta facendo i conti con il proprio impatto ambientale. Anche il mondo della moda, che rappresenta la terza industria più inquinante al mondo, è stato costretto non solo ad aprire gli occhi davanti a questo tema, ma a proporre soluzioni concrete per fare fronte agli aspetti più gravi di questa situazione. Essere eco-friendly non significa più semplicemente abbandonare l’uso delle pellicce o creare qualche capsule collection con materiali naturali, ma concentrarsi su tessuti riciclati, provenienti da fonti naturali e rinnovabili, produzioni carbon free e su una gestione più efficiente, spesso riducendo volumi di produzione e riutilizzando materiali all’interno di un’economia circolare. I brand che riescono a raggiungere ottimi livelli di consapevolezza ecologica, creando capi sostenibili e allo stesso tempo cool sono però ancora molto pochi. Oltre a Stella McCartney e Patagonia, una delle proposte migliori in cui moda e sostenibilità convivono è quella di Reformation

Nato nel 2009 dalla mente dell’ex modella Yael Aflalo come vintage store a Los Angeles, il progetto si è trasformato presto in un colosso etico del fast fashion. Il claim che si legge sulla pagina Instagram del marchio, seguita da circa 1,6 milioni di persone, svela subito l'ambizione del brand, così come la sua propensione verso caption divertenti e super catchy: "Being naked is the #1 most sustainable option. We're #2".

Siamo Zara, ma con un'anima, ha dichiarato Aflalo in un’intervista. La gente ama Zara, ma il problema è che non sente che Zara condivida i suoi valori dal punto di vista della sostenibilità e dell'inclusione. 

Secondo il report The State of Fashion 2019 di BoF e McKinsey&Company, nove consumatori su dieci appartenenti alla Gen Z (che, insieme ai Millennial rappresentano solo negli Stati Uniti un potere d’acquisto di $350 miliardi di dollari) credono che le aziende abbiano il dovere di farsi carico di questioni ambientali e sociali; mentre due terzi dei consumatori mondiali è disposto a cambiare, evitare o boicottare un determinato brand in base alla sua posizione su temi controversi, come la sostenibilità ambientale. Se si considerano questi dati, appare chiaro che la vera innovazione introdotta da Reformation è stata una brand identity ben definita, che ha fatto della sostenibilità uno dei cardini del proprio DNA, con l’obiettivo di creare "un business snello che condividesse la velocità tipica del fast-fashion ma con un approccio attento nei confronti dell’ambiente"

I motivi del successo del brand californiano sono molteplici, ma i principali, che lo rendono riconoscibile ed accattivante, sono tre: sostenibilità; capi effortless e femminili; un’immagine attentamente studiata che risulta perfetta su Instagram.

Reformation propone uno stile fresco, giovane, femminile, fatto di jeans, mini e midi dresses effortless e leggermente flirty. Nei lookbook le creazioni del brand vengono spesso abbinate ad accessori tra i più desiderati del momento, come mules e borse Bottega Veneta, per elevare il marchio ed inserirlo in un contesto quasi luxury. Le collezioni, un ibrido tra il mood hippy anni 70’ e il touch francese di Jacquemus o Rouje, hanno conquistato moltissime celebs: da Rihanna a Emily Ratajkowski, da Taylor Swift a Kaia Gerber, da Rosie Huntington-Whiteley a Hailey Bieber, da Karlie Kloss, che ha finanziato l’azienda californiana con 12 milioni di dollari, a Rosalía.

Ogni capo è progettato, tagliato e cucito a Los Angeles, e circa il 70% dei capi viene creato internamente nello stabilimento dell'azienda. E viene fornito di un punteggio RefScale, che specifica la quantità di anidride carbonica, acqua e rifiuti risparmiati nella produzione di quell'indumento rispetto allo standard del settore. Ad esempio, un paio di jeans Reformation utilizza 700 litri d'acqua per essere prodotto, mentre lo standard del settore è di 2.000. Uno schizzo diventa un abito in meno di un mese e nasce da tre diversi tipi di materiali: nuovi tessuti sostenibili, riutilizzo di abbigliamento vintage, tessuti recuperati da scorte avanzate di case di moda che hanno fatto ordini eccessivi. Per muoversi velocemente e mantenere le sue promesse green, la fabbrica dispone di un'efficiente illuminazione a LED, utilizza energia eolica rinnovabile, è stata allestita con la massima quantità di materiali riciclati o privi di alberi ed è anche il fulcro per servizi fotografici, allestimenti, spedizioni. L’80% delle vendite di Reformation avviene tramite e-commerce, mentre il restante 20% avviene nei suoi store disseminati principalmente negli Stati Uniti, che, come la fabbrica, sono tutti rigorosamente eco-friendly. Sul sito del brand ogni fase del processo produttivo, da come i tessuti vengono scelti alle altre scelte che l'azienda fa ogni giorno, è raccontata in modo dettagliato. 

Nel successo e nella narrazione del brand Instagram gioca un ruolo primario. Non solo grazie a quell'estetica fintamente casual, che mette al centro la figura della donna, ma anche grazie alle immagini che ritraggono donne di bodytype e etnie diverse, o ancora, con caption divertenti che fungono da ponte tra il brand e i consumatori, nel tentativo di stabilire un rapporto diretto con un pubblico che è molto attento e sensibile. Stando ai commenti dei fan, l’unico neo del brand californiano sono i prezzi, che superano ampiamente quelli di H&M o Zara e, per un abito, vanno da $98 ai $248. Come insegna anche Patagonia, la sostenibilità si paga

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Elope with yourself.

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Lo scorso giugno, in concomitanza con le manifestazioni del movimento Black Lives Matter, Reformation è stata accusata da un'ex dipendente di aver creato un ambiente che favoriva l'avanzamento di carriera di persone bianche, e in cui le preoccupazioni o richieste delle persone non bianche veniva sistematicamente ignorate. Per un marchio che ha costruito la propria immagine intorno all'essere sostenibile, responsabile ed etico, le accuse sono state devastanti, attirando le critiche di Diet Prada e di molti altri e, come è successo anche a Leandra Medine da Man Repeller, hanno portato alle dimissioni di Yael Aflalo. 

Aflalo, che aveva venduto una quota di maggioranza di Reformation alla società di private equity Permira nel 2019, è stata immediatamente sostituita da Hali Borenstein, una dipendente di lunga data con un'esperienza nella consulenza gestionale. La prima decisione della nuova leadership è stata avviare un'indagine esterna per esaminare la cultura aziendale. I risultati emersi evidenziano che i problemi principali del brand non sono strettamente legati al come "prendere decisioni e/o trattare gli altri in modo diverso in base alla razza", ma all’incapacità di tenere il passo con le esigenze di un business in rapida crescita, sia dal punto di vista culturale sia da quello logistico. 

A giugno del 2019 un rapporto sulla sostenibilità aveva svelato che il team dirigenziale di Reformation era composto per l'80% da bianchi e per il 20% da asiatici, mentre, a livello aziendale, solo l'1% dei dipendenti era nero. Per ora Borenstein e il suo team hanno apportato solo alcuni cambiamenti operativi: hanno assunto Monique McCloud, black woman e veterana delle risorse umane, come capo del personale; hanno creato piattaforme per consentire ai dipendenti di ogni livello di avere la possibilità di esprimere il loro parere; ma, soprattutto, hanno iniziato a scegliere modelle, influencer e talenti appartenenti a diversi gruppi etnici e con diversi tipi di corpi. 

Nonostante gli errori, Aflalo ha saputo fare di Reformation un’azienda di successo, uno dei pochi progetti green che sono stati in grado di mixare ad alti livelli un'estetica cool e sostenibilità. La nuova leadership non dovrà solo confrontarsi con il fortunato passato dell’azienda, ma anche risolverne i problemi interni, risanare il danno di immagine causato dalle accuse di razzismo, affrontare i concorrenti e continuare a far crescere il proprio business all'interno di un'industria messa a dura prova dall'emergenza sanitaria.